In quanti conoscono il vino di Milano? In quanti sanno che esiste una collina in Lombardia posta a sud del capoluogo lombardo, con una esposizione da Est a Ovest di circa 7 km e che confinano con ben tre province: Milano, Pavia, Lodi? Una collina fantastica che sbuca dal nulla, nel bel mezzo della pianura padana in un comune che deve il suo nome ad un monaco missionario irlandese che capitò da queste parti all’inizio del VII secolo, che dedicandosi alla evangelizzazione e alla conversione delle popolazioni locali al cristianesimo, trovò anche il tempo di avviare queste ultime alla tecnica (ancora sconosciuta all’epoca) della coltivazione della vite in un’area evidentemente vocata. Siamo a San Colombano al Lambro, estremo lembo a sud della provincia milanese, una vera e propria enclave meneghina sopravvissuta alla nascita della provincia di Lodi.

Questo fa si che qui si produca il “Vino di Milano” appunto. Peraltro questa piccola area vitivinicola si permette il lusso di avere un vitigno autoctono che produce “l’uva d’oro” detta anche Verdea. l’origine di fatto non è certa (esistono rivendicazioni toscane sul prodotto), ma di certo è servita ad alimentare la narrazione di queste zone a proposito della propria uva dalla buccia dura e resistente che sembra fatta apposta per essere destinata alla produzione di originalissimi vini dolci passiti. Dal 1984 qua esiste una D.o.c., denominata, guarda caso, San Colombano al Lambro che nella propria declinazione rossa utilizza Croatina 30-50%, Barbera 25-50%, Uva Rara al 15% ed altri vitigni ammessi per un max 15%. Mentre declinata al bianco utilizza Chardonnay min. 50%, Pinot Nero min. 15% ed altre uve ammesse per un 15% max. Tutte uve prodotte qui, in questo fazzoletto di terra sopraelevata che sembra uno scherzo della natura. Amo passare di qua, anche solo per curiosare. Lo faccio almeno da trent’anni. Da quando per esigenze lavorative il mio amico Sergio mi disse: “oggi pranziamo all’Osteria Sant’Ambrogio!” Fu amore a prima vista.

Altre latitudini incredibilmente. Stesso comune, ma nel bel mezzo della pianura più piatta, in una microscopica località che si chiama Mostiola, esiste una vecchia osteria che da almeno tre decenni è gestita da una coppia di appassionati osti di campagna. Donato Gamba e sua moglie Ivana conducono con buon gusto e una certa dose di eccentricità questo luogo dove il tempo si è fermato. Il colpo d’occhio dall’esterno può non impressionare. La vecchia trattoria ha un look decisamente anni ’60 e appare all’improvviso a ridosso di una strada molto trafficata. Davanti ha un piccolo spazio estivo decisamente esotico e appena entri inizia il viaggio nel tempo. Tra vasi di caramelle sfuse e bottiglie di vecchi amari esposti si respira decisamente un’atmosfera d’altri tempi. Il locale è disposto su due piani e al piano terra c’è il regno di Donato. In un angolo della sala principale impera un grande camino con una griglia dotata di catene e oggetti di ferro per tutti gli usi e cotture delle pietanze. In cucina Ivana si occupa di tutto il resto.

Questo ambiente è tutto fuorché banale. C’è una grande attenzione al particolare che si trova anche nei piatti. Semplici e in molti casi della tradizione lombarda, ma non solo. Le paste sono fatte a mano e le carni selezionate in modo molto attento. si parte con un tomino lardellato, con spiedini con lardo e provolone e con aringa affumicata. Si prosegue con le spighe di ricotta e spinaci o pappardelle al ragù. E poi tutto quello che si può immaginare venga cotto su una griglia: dal vitello, al manzo al maiale, al pollo agli insaccati freschi. Una grande selezione di carni lombarde. Ma dalla cucina può arrivare anche del rognoncino trifolato, magari accompagnato da catalogna ripassata con olio e aglio. Le porzioni sono generose, come deve essere in un’osteria che si rispetti, ma se a qualcuno è rimasto un angolino disponibile si può finire dolcemente mangiando Strachin gelad o zuppa inglese.

Prodotti così identitari che di più non si potrebbe. E magari si possono accompagnare proprio con un dolce passito della vicinissima collina di cui ho già raccontato, così come molti dei vini locali possono accompagnare questo pasto in modo assolutamente equilibrato. Si chiude al banco bar o nella prospiciente veranda con un digestivo classicissimo. La scelta può cadere su un nocino della casa o un anice mistrà. Non manca quasi nulla. In pochi chilometri la collina, la pianura e una grande tradizione. Tutto insieme in una miscela che mi appassiona. In fin dei conti a San Colombano forse manca solo il mare.