In questo strano periodo in cui il mondo sta cambiando velocemente i connotati, si sente sempre più la mancanza delle cose straordinarie che la Precedente “normalità” ci ha riservato per anni. Dopo una lunga pausa forzata si fa sempre più sentire la voglia di uscire semplicemente per un pranzo o per una cena in uno dei tanti posti straordinari che compongono quello che io definisco il triangolo del cibo. Quel territorio a cavallo di Oglio e Po che caratterizza la bassa di tre province: Mantova, Cremona e Parma. E in particolare trovo che potrei considerare compiuto il ritorno alla vita che mi piace, se potessi tornare quanto prima a pranzo al “Caffè la Crepa” di Isola Dovarese. Un luogo magico incastonato in un territorio di acqua e di pianura che si trova in una delle più belle piazze di Lombardia. Si narra che di questo locale ci siano tracce che risalgono addirittura ai primi dell’800 e che da allora  qui si beva vino a mescita. In un palazzo straordinario testimonianza della grandeur Gonzaghesca, qua esiste un edificio fin dal  Fine del ‘500 che la
Straordinaria passione di una famiglia ha trasformato in un vero e proprio luogo delle passioni.

Savarin di riso

Fin dai primi anni ‘50 del secolo scorso la famiglia Malinverno su questa piazza rifocilla centinai di avventori, con attenzione ed entusiasmo. Lo stesso entusiasmo che la seconda generazione con gli attuali gestori Franco (in cucina) e Fausto (in sala) a partire dagli anni ‘70 hanno dato vita ad un’avventura straordinaria. Dapprima come enoteca (commerciando anche vini e bibite come spesso avveniva in quell’epoca) e poi con la grande intuizione della gelateria.
Fu proprio la gelateria artigianale a dare il giusto slancio all’iniziativa della famiglia che decise sull’onda del successo di quest’ultima di allargare gli orizzonti e di cominciare ad offrire qualcosa in più del Semplice calice di vino al bar. È così negli anni ‘80 inizia la straordinaria avventura gastronomica che oggi possiamo celebrare con enfasi. Questi osti contemporanei hanno seguito (anticipandole spesso) le tendenze del mercato seppur sempre in “direzione ostinata e contraria” fino ad incrociare la modernità in un percorso a rovescio. La grande modernità che sta nella tradizione. Migliorandola se necessario senza avventurarsi in inutili sperimentazioni, ma lavorando sulla qualità delle materie prime. Non temendo contaminazioni.

Marobini ai tre brodi

Quella dei malinverno non è una cucina dogmatica. Non è tradizione fine a se stessa. A loro piace mescolare ingredienti nella proposta gastronomica, mantenendo però una sana rigidità nei piatti. Così può capitare di poter assaporare un piatto di Joselito tagliato rigorosamente a coltello come se si fosse a Siviglia, seguito però da un savarin di riso nella migliore tradizione che fu di Cantarelli a Samboseto. Mescolare un fois gras come se si fosse a Lione, dopo aver assaporato i marobini ai tre brodi, vera e propria celebrazione della cucina padana. Certo la famiglia e numerosa e i ragazzi dimostrano di avere la passione dei genitori e dei nonni. Cito Federico perché è quello più arrivo sul fronte mediatico. Impegnato a diffondere il credo domestico con il fare di un sacerdote del gusto contemporaneo. Un impegno enorme e non sempre ricompensato in modo adeguato. Non dimentichiamo che siamo in un territorio lontano da tutto. Che è anche la sua forza. Resto convinto da sempre che la sostanziale arretratezza mai superata fino in fondo di questa parte di mondo civile, nei decenni successivi sia stata la vera forza di questi luoghi. Quando altrove spopolavano a partire dagli anni ‘70 pizzerie e improbabili ristoranti di pesce di mare, qui le trattorie e le osterie sono sopravvissute.

E oggi con intelligenza e declinate con modernità rappresentano un vero e proprio patrimonio culturale e sociale che in tanti invidiano. Nessuno se la prenda ma a volte il mondo va così. E i Malinverno lo sanno talmente bene da giocare molto con questa anomalia. E farlo per la gioia dei propri clienti e amici vale doppio. Così ti può capitare di imbatterti in una imponente scelta di pesci d’acqua dolce cucinati nel migliore dei modi. Dai saltarei allo storione, che si alternano a lumache alla francese e ai tanti prodotti del maiale Che non  possono mancare  in una osteria degna di questo nome. E alla fine naturalmente una carta dei dolci semplice e rispettosa delle tradizioni, dove a farla da padrone e’ ovviamente il prodotto che ha decretato per primo il successo di questo locale: il gelato. Su tutti: Zuccotto e acquerelli alle creme che non sono altro che gelato al cioccolato con (un prodotto fantastico ma dimenticato) il San Marzano Borsci e alla crema con (altro prodotto che la famiglia commercializza da mezzo secolo) la chartreuse, quella vera.  Prima di andartene ti verrà sicuramente servito un goccio di elisir con i biscotti del luogo: gli “isolini”.  Magari se si è fortunati pranzando all’aperto sotto il portico in favore della splendida piazza con la bella stagione o nella cosiddetta “Sala de Senato” d’inverno (si perché da queste però si gioca con la politica e si parla tanto di politica ed è bello così).

Ecco quindi svelato il mistero delle premesse. Avverto un desiderio assoluto di tornare quanto prima a far visita a questa grande famiglia lombarda della bassa. Lunga vita alla Crepa e ai Malinverno!