Sono passati solo pochi giorni dall’annuale celebrazione della “Giornata della Memoria”: una ricorrenza ancora oggi importante non solo per tenere vivo il ricordo delle milioni di vittime causate dal piano di sterminio messo in atto dal regime nazista (in specie, a danno delle comunità ebraiche europee) ma anche perché è quanto mai necessario che le nuove generazioni non dimentichino gli atti di coraggio di quelle persone che, anche a sprezzo della propria vita e senza nessun tornaconto economico, cercarono di salvare chi subiva quegli atti di persecuzione. Nel caso specifico delle Shoah, quest’ultimi sono da anni insigniti del titolo di “Giusti tra le Nazioni” e in fede del riconoscimento per aver salvato la vita anche ad un solo ebreo in quel terribile periodo, tra i tanti gesti onorifici viene piantato a loro nome un albero (gesto che, nella cultura ebraica, simboleggia l’eternità) presso lo Yad Vashem (l’Ente Nazionale per la Memoria della Shoah) a Gerusalemme. Tra questi tanti coraggiosi, trova il suo posto anche un semplice ma agguerrito prete lombardo: don Eugenio Bussa.

immagine tratta da: www.doneugeniobussa.org

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Nato il 3 settembre 1904 a Milano (nel popolare quartiere dell’Isola), Eugenio era figlio di due novaresi costretti a trasferirsi in città per esigenze economiche: maturata presto la vocazione al sacerdozio, entrò in seminario grazie ai sacrifici del padre (operaio verificatore delle Ferrovie dello Stato) e della matrigna (la quale, per sopperire alle ingenti spese date dal percorso di studi del figliastro, lavorò prima come domestica e poi come operaia in una fabbrica di lucido da scarpe). Ordinato sacerdote nel Duomo di Milano nel 1928, don Bussa fu nominato vice direttore del Patronato di Sant’Antonio nel suo quartiere: dedito in specie alle opere di carità, si divideva tra l’assistenza agli ammalati e le attività dell’oratorio, tra il soccorso alle famiglie bisognose e l’aiuto ai disoccupati.

Scoppiata la guerra, don Bussa seguì costantemente i ragazzi del suo oratorio partiti per il fronte, scrivendo ad essi regolarmente (di ognuno, custodiva la fotografia con i dati anagrafici e l’indirizzo di Posta Militare): ma la guerra non fu vissuta solo al fronte e  con il passare degli anni, anche Milano pagò un prezzo alto (con la distruzione, tra le tante, di molte case dello stesso quartiere Isola). Fu allora che l’ostinato sacerdote apri a Serina (in Val Brembana) una casa di sfollamento per i bambini del rione le cui famiglie non potevano lasciare la città ( e dove, ospitò di nascosto anche molti bambini ebrei, astenendosi tra l’altro dal propor loro in maniera forzata la religione cattolica). Dopo l’8 settembre, alla guerra ancora violentemente in atto tra i tedeschi e gli alleati si aggiunsero gli scontri da guerra civile tra le forze partigiane e quello nazi-fasciste: oltre a molti giovani del Patronato (renitenti alla leva della neonata Repubblica di Salò), don Bussa protesse, nascondendoli e salvandoli dalla deportazione in Germania, anche molti ebrei e per questo (a causa della denuncia di qualche delatore) venne arrestato e rischiò lui stesso di essere deportato. Ma a seguito delle imponenti dimostrazioni dei suoi parrocchiani e dell’intervento diretto dell’arcivescovo di Milano (l’influente cardinale Schuster), “solo” dopo tre giorni di detenzione venne rilasciato. Arrivato il giorno della resa, don Bussa non chiuse la porta della sua canonica ai bisognosi di turno e non si fece problemi a difendere a spada tratta molti fascisti da esecuzioni senza processo. Un giorno, nonostante il suo intervento, tre persone furono messe ugualmente al muro e fucilate con numerose scariche di mitra proprio davanti all’oratorio in piazza Minniti all’Isola: nel muro restarono evidenti segni causati dalle pallottole ma don Bussa ordinò che non fossero fatte riparazioni perché quei segni, dovevano restare come memoria dei fatti terribili che erano lì accaduti.

A guerra finita, il buon prete lavorò per la ricostruzione del quartiere Isola (in specie, del Patronato e dell’oratorio), continuando negli anni a servire il proprio ministero fino alla morte (avvenuta improvvisamente il 29 gennaio 1977): al suo funerale, migliaia furono le persone che gli resero l’ultimo omaggio.