Proporre la pianura della bassa bresciana come una possibile meta turistica, può sembrare insolito e anche un tantino azzardato, ma un luogo dove “Ars aemula naturae” (l’arte emula la natura) come citava Apuleio, una zona conosciuta principalmente per la sua produzione agricola, merita una doverosa attenzione per quel legame indissolubile che i Comuni della Pianura Bresciana hanno con la realtà contadina ,che affonda le sue radici nella tradizione più antica.

Questa Pianura è diversa, grande, considerevole, non solo nelle sue dimensioni, ma anche per ciò che ci restituisce da un punto di vista storico e artistico.

Una vasta campagna delimitata dai tre principali fiumi Bresciani, Oglio, Mella e Chiese che, nel corso dei secoli l’hanno resa fertile e  ne hanno caratterizzato anche le vicende storiche.

Lasciando alle spalle la città di Brescia e percorrendo la SPBS235, si arriva nel comune di Maclodio, celebre per la Battaglia di Maclodio del 1427 combattuta tra le forze militari dei Visconti e quelle della Repubblica di Venezia le cui vicende ispirarono ad Alessandro Manzoni i cori de “Il Conte di Carmagnola”. Terminato il Paese di Maclodio, la vegetazione cambia notevolmente: siamo nel punto geografico della cosiddetta “fascia dei fontanili”o “linea delle risorgive”, una linea immaginaria che divide l’alta pianura “asciutta”, dalla bassa pianura umida, attraversando longitudinalmente l’intera Lombardia.

Il paesaggio lungo tale linea  alterna prati coltivati, canali, fossati, pioppi,platani, filari di gelsi. In lontananza dalla strada provinciale e non solo, non mancano piccoli borghi raccolti attorno ad un campanile, vasti cascinali, moderne aziende agricole, ma anche ville, residenze di campagna e castelli.

Ambienti naturali, antropologici, storici e artistici arricchiscono questa zona meravigliosa, ma c’è di più, un segreto che vale la pena di svelare nella sua interezza, un nome che ci riporta al lontano 1550, un artista la cui presenza è documentata a Brescia da un contatto con Romanino, un pittore italiano  fra i più importanti protagonisti del Rinascimento lombardo. Ma chi è questo artista che arrivò fino in Bassa Bresciana chiamato dalla prestigiosa famiglia Maggi per abbellire gli interni del loro palazzo di campagna?

Autoritratto Lattanzio Gambara

Lattanzio Gambara

LATTANZIO GAMBARA il pittore commissionato da Paolo Maggi per decorare questo singolare e bellissimo palazzo cinquecentesco utilizzato nel Rinascimento come casa padronale della stessa famiglia Maggi, estintasi nel 1600 lasciando in memoria questo gioiello storico armoniosamente inserito nel piccolo borgo di Corzano ( che si raggiunge seguendo la sovra citata SPBS235).

Passeggiando lungo la piazza elegantemente sistemata è possibile ammirare il palazzo  in tutta la sua maestosità mentre, abbandonando la piazza principale, è possibile ammirare il prospetto del palazzo verso il brolo a monte dove presenta una fronte ben distesa fra due avancorpi, che ricordano le basi per torrioni di un castello fortificato.

Il prospetto migliore per ammirare il complesso architettonico del palazzo, a metà strada tra struttura fortificata e dimora signorile, è quello visibile dall’interno della corte rurale: un lungo porticato, formato da sette arcate a doppia altezza, i cui pilastri presentano stucchi decorativi che ingentiliscono l’intero maniero.

Sotto il porticato si trova l’ingresso all’abitazione vera e propria, completata solo a metà nella parte a sera, che ospitava una delle più antiche casate nobiliari bresciane: la famiglia Maggi  senza badare a spese, chiamò a Corzano architetti, pittori, botanici e giardinieri.

Anche se gli affreschi sono molto trascurati , hanno un  grande valore artistico: vi troviamo scene religiose e mitologiche nello stesso contesto, tanto che possiamo parlare di un vero e proprio viaggio “tra sacro e profano”.

Sotto il portico si trova l’entrata della villa. La prima stanza che troviamo è “La sala del Mito” chiamata così per le evidenti raffigurazioni mitologiche che trovano la loro giusta collocazione sui muri e sulle volte di questa grande e importante stanza. L’affresco con la scena SATURNO EVIRA URANO è il primo episodio rappresentato della sequenza di ventitré dipinti profani a soggetto mitologico. La successione iconografica delle diverse generazioni divine segue il modello della TEOGONIA di Esiodo, che inizia con Urano,continua con Crono e termina con Giove.

Impossibile descrivere con dovizia di particolari ciascun affresco separato da mensoloni accoppiati e da eleganti cordonature che contribuiscono a ingentilire e impreziosire questo spazio dove ogni elemento del mondo antico è attualizzato in chiave rinascimentale e manieristica da Lattanzio Gambara.

Merita una singolare attenzione l’affresco situato nel medaglione centrale del vòlto, che dialoga perfettamente con le scene mitologiche del salone. La decorazione, commissionata da Paolo Maggi in occasione del matrimonio del nipote Mario con Elena Maggi, si adatta perfettamente all’evento nuziale, sia per il significato simbolico di Giove, sia per la presenza prepotente di Crono, il Tempo. La rappresentazione narra tre scene: la nascita di Giove, la presentazione dell’infante al padre Crono e la piccola divinità portata sul monte Ida, il tutto contenuto all’interno di decorazioni a stucco e greche in gesso eseguite da una mano nobile, che arricchiscono e ne valorizzano l’affresco in esso contenuto.

Tutto il XVI secolo è stato contrassegnato dai contrasti religiosi sorti a seguito della Riforma protestante avviata nel 1517 da Martin Lutero. L’Europa fu spaccata a metà, cattolica e protestante e per porre fine ai contrasti nel 1545 venne convocato il Concilio di Trento durante il quale venne elaborata una nuova ideologia della Chiesa romana che, con la sua Controriforma, dava una risposta alla Riforma dei protestanti. Il Concilio dettò norme molto rigorose che riguardavano anche la produzione artistica: un maggior rispetto delle fonti, bando alle invenzioni gratuite e alle immagini di nudo. In sintesi la festa era finita: quel clima di gioiosa eleganza e di sensuale bellezza, che si era respirato per tutto il periodo rinascimentale, era tramontato, per lasciare il posto a un nuovo clima di rigore morale.

Con questa indispensabile premessa, entriamo nella seconda stanza “LO STUDIOLO o ORATORIO” dove i soggetti mitologici lasciano spazio a dipinti di carattere biblico.

“L’OFFERTA DI CAINO E ABELE” apre il ciclo degli affreschi della saetta con temi biblici di Palazzo Maggi, ora Gatti, di Corzano di cui voglio menzionare “LA CELEBRAZIONE DELLA PASQUA” e “ELIA SUL CARRO DEL FUOCO” sul quale mi soffermerò.

Quest’ultima opera rappresenta l’evento metafisico in un paesaggio naturale. L’opera presenta in primo piano , nella zona di sinistra, i profeti di Gerico meravigliati. Dietro di loro s’intravede una città turrita. Sulla destra , oltre un fiume, appare Eliseo accanto ad un mantello, mentre osserva il profeta salire verso il cielo a bordo di un carro e cavalli infuocati.

Questo ciclo di affreschi ci permettere di riflettere su come, proprio in un piccolo comune come quello di Corzano, ci sia custodito un passaggio storico-artistico di elevata portata: la separazione tra storia sacra e storia profana, tra immagini e favole. Lo stile di Lattanzio Gambara e il suo sogno, rimangono visibili nella coerenza dello stile e nelle sue immagini complesse, ma uniche nella loro spiritualità. Il periodo storico delicato e contradditorio in cui opera Gambara, rende il suo modo di espressione complesso ma nello stesso tempo dolce e sensibile che segnerà la fine definitiva degli ideali universalistici dell’Umanesimo italiano.