Esiste un luogo magico in Padania. Esiste e resiste al tempo. E’ il luogo delle certezze per molti Mantovani. E il posto dove ognuno di noi vorrebbe consumare l’ultimo pasto della propria esistenza: il Cigno, detto anche la “Trattoria Dei Martini”.
Un luogo dove un signore elegante e gentile tende a mettere in scena tutti i giorni una rappresentazione nuova della cucina e della cultura di questo placido lembo di mondo lontano da tutto e per questo vicino alla propria identità. E’ dal 1964 che Tano Martini in una viuzza del centro storico della città dei Gonzaga sfama i mantovani e i tantissimi ospiti di Mantova che arrivano da tutto il mondo.
Dapprima in una trattoria tipica chiamata “La Rocchetta” con la mamma Rina in cucina. La mamma apprezzata in tutto il territorio per la propria superba capacità di interpretare la tradizione gastronomica mantovana, diventa presto un punto fermo della ristorazione semplice e al punto stesso molto raffinata, tipica del grande patrimonio gastronomico padano. Fu un successo immediato e ai piatti Mantovani si sommarono col tempo molte ricette venete ed emiliane ad ampliare la gamma proposta ad una clientela sempre più esigente e preparata.
Gli anni passano e l’incontro con la Marchesa Giovanna D’Arco cambia la storia di questa famiglia. L’ anziana nobildonna sul finire degli anni ‘60 decide di affidare al giovane intraprendente Tano e alla sua formidabile cuoca un pezzo di edificio in disuso antistante al famoso palazzo di famiglia (sede oggi della straordinaria collezione museale della Fondazione che ne porta il nome).
È proprio lì nella vecchia stalla dismessa nasce “Il Cigno”, un luogo destinato a cambiare le sorti della città. Un luogo elegante e al contempo modernissimo per quel periodo. Negli anni successivi Tano incontra Alessandra, con la quale ha la fortuna di condividere una grande passione per la ristorazione oltre che a dar vita ad una bella famiglia con l’arrivo di due gemelli maschi. Da allora la famiglia Martini non ha più smesso di far parlare di se’.
Dapprima creando un ristorante estremamente raffinato e ricercato e poi scegliendo, in tempi non sospetti, di rinunciare ai fasti delle guide internazionali per tornare alla grande vocazione domestica della trattoria, rinunciando alla denominazione di ristorante e derubricando una formula (sostanzialmente immutata nella qualità del servizio e dei cibi) a trattoria, “ dei Martini” appunto.
Quello che amo di più di questo posto è la sana contaminazione della cucina parigina anni ‘70. Sono in pochi a riconoscerlo, ma se oggi molti piatti della straordinaria tradizione francese sono diventati di fatto mantovani lo dobbiamo anche a loro. E così insieme ai tortelli di zucca, agli agnoli in brodo, al luccio in salsa o il cappone alla Stefani ci siamo abituati a considerare mantovani anche piatti che traggono origine da altre tradizioni. In carta trionfa la stagionalità e quindi il menu non è sempre perfettamente identico, ma quasi mai può capitare di non trovare il paté di fegato, la zuppa di cipolle, le lumache alla bourghignonne o il rognone trifolato (in questo periodo coi funghi chiodini). Già, sua maestà il rognone…..qualche settimana fa un amico a cena dal Tano, preso dall’impeto in una fase di estasi degustativa mi ha detto: “il rognone del Cigno vorrei portarlo sulla luna!”.
Proprio la si potrebbe compiere questo estremo tributo ad una famiglia che ha fatto grande questa città. Gli anni passano per tutti, anche per i grandi, soprattutto quando fai un lavoro così duro e impegnativo. La passione resta ma potrebbe non bastare. Più volte negli ultimi tempi si è sparsa la voce che la trattoria perfetta potrebbe chiudere i battenti. Del resto i gemelli hanno scelto altre strade. Una vicenda tanto romantica quanto singolare vuole che entrambi abbiano abbracciato un cammino di impegno nella fede cattolica e si dedichino ad alimentare anime e non famelici gourmet.
Questo purtroppo non garantisce continuità famigliare e fa temere il peggio a chi come il sottoscritto ha intensificato la frequentazione nell’ultimo periodo col timore di arrivare un giorno davanti a quel portone in fondo a piazza D’Arco trovandolo chiuso. Spero non succeda mai ma nel frattempo sto pensando varrebbe la pena far incetta di rognone. Cibandosene con gusto e perché no, portandone qualche porzione sulla luna.