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(“La schiuma dei giorni ci macchia le dita e il bere in vino”, da Lambrusco, di Massimiliano Boschini)

Max Boschini – fotografo, scrittore, agitatore culturale – è un rompicoglioni e mai appellativo fu più accostabile ad un complimento, soprattutto in tempi di conformismo asfissiante e di arte al guinzaglio. Per dire, a Mantova Capitale della Cultura serpeggia questo bon ton manageriale, un format estetizzante fatto di luci colorate (insegne luminose che attirano gli allochi) ed effetti speciali, servito con sharing-catering per il trastullo di vecchi e nuovi poseurs, con coccarda e sagnaposto (la lista degli invitati, il tavolo riservato, il conciliabolo tra introdotti). Faccende effimere e training d’autoconvincimento, ansia per un frettoloso smarcamento dal vecchio, le anglofone smorfie ruffiane, il panegirico trasformato in brand, le nuove parole d’ordine per stare al passo coi tempi. Con tempi creati in laboratorio. Pop-Gonzaga si direbbe, di questo passo finiremo forse per rivalutare i Bonacolsi. Ebbene, quanto di tutto ciò è reale? Quanto resta di veramente culturale, nell’età del consenso da centro commerciale diffuso e della comunicazione fine a sé stessa? Quanto sopravvive d’autentico, in questo omogeneizzato di “sinergie” e di “virtuosi percorsi condivisi”? Non è questione politica, ma del nostro tempo che puzza di falso.

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Dalla provincia profonda s’alza più di un sopracciglio, scappa un po’ da ridere ai tavolini dei bar, alle briscole tra vecchi brontoloni, nel notare il gonfiore lievitante, la spocchia crescente, l’autoreferenzialità del capoluogo bigné, farcito con la salsa dei grandi numeri e dei selfie para-governativi. Grandi numeri e turismo di massa in un catino rinascimentale chiuso dalle acque su tre lati? Suvvia, vi salveremo noi periferici dalla noia del power point e del salottino-smart, dal binomio business plan & hashtag; vi salverà il bianchino dal “Laso” oppure una seduta spiritica da Caravatti. Ebbene, appare se non salvifico quanto meno liberatorio il recente libro di Boschini, incentrato sullo schietto binomio Punk/dialetto. Mòrs, questo il titolo dell’agile volumetto edito da Sometti, riscatta la tradizione popolare del parlar chiaro (il famoso “parla cum’at magni”), tuttavia mondato dalle scorciatoie passatiste. Il dialetto mantovano è per l’autore materia viva e concreta, metallo sciolto da rifondare in poesia, viatico asfaltato in grado di creare collegamenti apparentemente impensabili. Come quello, già sbattuto in copertina, tra la Pianura Padana e Berlino (Est, con tocco atmosferico retrò-comunista), declinato in tre passaggi tra “vita, morsi e miracoli”.

Impreziosito dalle illustrazioni di Dino Fumaretto, il libro scandaglia quelle caratteristiche inconfondibili del vivere in provincia, tra maiali, lambrusco, bar Sport, nebbia e zanzare, ma senza la retorica stucchevole dei bei tempi andati. C’è qualcosa di metallurgico e rugginoso – Battagliero, parafrasando i CCCP-Fedeli alla Linea, aleggianti nei riferimenti estetici – c’è un umore noir da gotico padano, l’urgenza iperrealista di narrare quel determinato microcosmo così strambo, quei rituali suburbani assolutamente refrattari alla codificazione globalizzata. Come forse a Marmirolo, paese dell’autore alle porte di Mantova; con tutta evidenza un luogo gettato lì nel mezzo: sotto le colline Moreniche, sopra la ”bassa”, a destra delle influenze bresciane e cremonesi, a sinistra di quelle veronesi, attiguo al capoluogo pur essendo altro, forse qualcosa di indefinito all’occhio estraneo. C’è una torre civica merlata, un bel teatro anni ’30, per il resto un centro abitato come molti altri. Per Boschini, il disincanto della normalità parte dalle radici popolari, diventa ingrediente fondamentale, materiale prezioso per ricreare haiku talvolta divertenti, talaltra malinconici. Certo, in fondo al viaggio, al termine della “Brennero” e più oltre, c’è Berlino, la capitale dei punk anni ’80, l’utopica metropoli in continua trasformazione. Ma intanto siamo tutti ancora qui, legati ai nostri piccoli paesi, a minute faccende che di colpo riescono – quasi miracolosamente – a tramutarsi in poesie.