Oggi sono passati 20 anni da quel triste 10 agosto del 2001 quando un amico mi telefonò per dirmi: è morto il professore. 20 anni nei quali in pochi hanno voluto portare avanti in pensiero che “avanti” lo era già da un pezzo. L’attualità del pensiero di Gianfranco Miglio lo rende immortale ma i mortali attualmente in circolazione tendono a ignorarne i contenuti. E devo andare ancora più in là nel tempo per risalire a quando venni folgorato da questa figura istrionica ed immortale.

Correva l’anno 1994 e io ero in giovane sindaco iscritto alla Lega Nord. Quell’anno si celebrò un congresso del partito (per la prima volta fuori dal territorio lombardo) proprio perché Bossi voleva lanciare il guanto della sfida a quella che allora sembrava essere l’unica barriera politica alla irrefrenabile espansione del movimento. Pertanto quella assise venne svolta nella rossa Bologna nell’Auditorium della Fiera. All’epoca i sindaci del carroccio erano pochi ed io ero il più giovane di tutti, invitato per l’occasione ad un congresso di partito come membro di diritto pur senza diritto di voto.

Quel giorno molto emozionato andai a Bologna col Piccio (al secolo Massimo Piccinini ancora oggi consigliere comunale a Viadana di quel che resta della Lega). Lui era in Lega da prima di me e mi sembrava un esperto in materia. Ci accomodammo sulle gradinate riservate agli ospiti e venni travolto dalla forza di quel luogo e dai suoi protagonisti: Ovviamente Bossi, ma non solo lui, in molti entrarono nella mia testa con modalità Quasi ipnotiche.

Si avvertiva la forza di un movimento che aveva grandi idee e l’apoteosi quel giorno fu raggiunta dal Professore che iniziò il suo intervento scandendo lentamente alcuni concetti chiave che avrebbero finito col imprimersi indelebilmente nella mia mente e nel mio pensiero: “Il grado di civiltà politica di un paese dipende dal modo con cui si riesce a limitare la quantità e la presenza dei parassiti. I parassiti sono nella società così come sono sugli animali. Se i parassiti crescono al di là di un certo limite l’animale muore e muore una società. Il parassita è colui che non produce ricchezza ma vive consumando quella prodotta dagli altri. Centralismo e parassitismo sono due fenomeni strettamente collegati fra loro. Il Paese che siamo chiamati a cercar di cambiare è ammalato da un esercito di pidocchi”.

Mi vengono ancora i brividi …e mi assale una tristezza devastante se penso che a quasi trent’anni da quel giorno siamo ancora lì. Parole dure e ruvide come Pietra pomice. Potrei proseguire riportando per intero i contenuti di quello che divenne da lì a breve un vero e proprio testamento politico che negli anni ha alimentato il pensiero di diverse generazioni di persone nella Lega Nord, ma non solo. Fu talmente potente e così lucido in quell’occasione da impaurire davvero tanto il sistema quanto Bossi, che dimostrando una debolezza molto umana cominciò da quel giorno a temere di essere oscurato all’interno da quel grande pensatore. I due, si sa, non si erano mai amati fino in fondo. Due personalità troppo forti che difficilmente avrebbero potuto continuare a convivere nello stesso alveo (forse troppo stretto per entrambi) e cosa successe dopo è cosa nota.

Ma anche nel periodo della Lega Bossiana post Miglio si può dire che in diversi cercarono di tenerne in debita considerazione l’insegnamento come base di pensiero. Tutti tranne i soliti scendiletto di turno che alternativamente negli anni successivi si scagliarono di volta in volta contro i non allineati al Pensiero unico bossiano, con le stesse modalità con le Quali oggi vengono maltrattati i non allineati al pensiero salviniano (e in alcuni casi sono addirittura gli stessi personaggi). Però quello era pensiero.

C’era un dibattito politico vero all’interno della Lega Nord, che Bossi, a seconda del periodo e delle convenienze, alimentava o stroncava sommariamente. Ma c’era! E volendo ci potrebbe essere ancora perché quel pensiero che stava alla base del ragionamento del Professor Miglio è ancora molto attuale. Le libertà individuali, la lotta allo stato, la politica post ideologica che mette al centro dei dibattiti i territori e soprattutto (di questi tempi) il rapporto fra il cittadino e lo stato restano il nodo della politica di molto di noi, fino (perché no?) alla autodeterminazione dei popoli o alla secessione quale diritto naturale. Oggi questi pensieri non trovano più casa in alcuno dei partiti del panorama italico ed è proprio la scomparsa di questi temi ad aver segnato la vittoria del sistema malato e marcio su chi lo aveva combattuto. Sono sicuro che oggi il Professore ripeterebbe quell’intervento con la stessa forza e la stessa autorevolezza di allora.

Ma purtroppo da vent’anni non è più fra noi e chi avrebbe dovuto portare avanti il suo pensiero ha ampiamente dimostrato di non esserne all’altezza. Un saluto necessario ad un grande lombardo.