Per i meno pratici della lingua Ogliopadana “la domenica si pranza dal sindaco”. Così per decenni quelli della mia generazione si sono sentiti ripetere da coloro che avevano la fortuna di conoscere un posto unico quale è la “ trattoria del Cavalier Saltini” a Pomponesco, a mio avviso patria indiscussa del padanismo più esasperato. Un padanismo badate bene non politico ma culturale.

Dal sindaco appunto! Da quel cavalier Saltini che da sindaco e sarto nel 1970 diede vita a questo locale che resiste al passare del tempo e in mezzo secolo non ha mai cambiato formula. In quello che all’epoca era il pian terreno del municipio, ebbe la brillante intuizione di aprire un locale nella stupenda piazza adiacente a quella che ospitava da tempo la storica “trattoria Cagnolati” che poi proprio in quel periodo divenne famosa come “ristorante e albergo il Leone”. Luoghi mitici per l’epoca che hanno segnato una parte consistente della svolta gastronomica di questo pezzo di mondo sul Po. Per decenni è arrivata in questa Amena e sperduta località minuscola, gente da tutte le parti del mondo, spesso solo per mangiare in questi locali.

E qui in piazza XXIII aprile (badate bene non 25, perché si celebra la liberazione in anticipo per un fatto di cronaca che ne ha segnato la storia anticipandola) da 50 anni la famiglia Saltini non è mai mancata con la propria proposta gastronomica. Allora la cucina (ed è stato così per molto tempo) era governata dalla signora Gilda che spesso può capitare di incontrare ancora in giro per i fornelli nonostante l’età avanzata che però non le ha minimamente scalfito la passione. I figli del “cavaliere” Danio e Maurizio stanno in sala e la sorella Stella ai fornelli. Famosi per i modi spicci e pochi inclini ai convenevoli, da decenni servono ai tavoli la vera tradizione, o meglio la loro tradizione. Si, perché nel lontano 1970 il Cavaliere seppe essere un innovatore anche nella proposta gastronomica che ormai dopo mezzo secolo si è trasformata appunto in tradizione. È così il menu spazia dai tortelli di zucca agli Agnolini in brodo (microscopici), ai bigoli alla panna e funghi, alle tagliatelle con l’anatra fino alla pasta e fagioli in bordo di verdure nella cosiddetta versione “straciamūs”.

Luadel

Per proseguire coi secondi classici che vanno dalle lumache alla bourguignonne, al germano al forno, al cinghiale in umido (vera divagazione del cavaliere in un territorio dove di cinghiali effettivamente se ne sono sempre visti pochi), ma soprattutto ad un magistrale “stracotto di asina” tanto tenero e gustoso da risultare commovente. Ovviamente non ho dimenticato gli antipasti, solo che meritano una menzione particolare perché qui col salume si mangia una cosa unica al mondo. Un pane caldo e fantastico: il luadel (del quale abbiamo già avuto modo di parlare sempre su Terre di Lombardia). Il luadel altro non è che un panino con lo strutto, morbidissimo all’interno e friabile all’esterno, che viene accompagnato dai Salumi della tradizione della bassa, in particolare da una sontuosa spalla cotta servita tiepida, che richiama molto alla tradizione dell’altra bassa, nell’oltrepo emiliano. Un prodotto iconico al punto che ormai lo si celebra addirittura con l’esistenza di una “confraternita” appunto “degli amici del luadel”.

Può anche capitare di imbattersi in qualche bottiglia interessante per gli amanti dei vini d’annata, se all’originale  Danio viene voglia di rovistare nella sconfinata cantina dove da decenni entra più di quello che esce. Si perché qua tutto trasuda storia. Qua il tempo scorre lento. Non devi avere mai fretta quando arrivi in questo posto. Un po’ per non irritare l’oste è un po’ perché questa è la filosofia di questo luogo senza tempo. E allora alla fine del pasto domenicale che può accadere si prolunghi più che da altre parti non ti resta che assaggiare un pezzo di torta sbrisolona o dei “risulein” (biscotti al burro denominati ricciolini) accompagnata da un goccio di vino dolce o semplicemente per finire il lambrusco dove è possibile anche intingere il dolce secco come si faceva una volta.

Tutto questo in un ambiente semplice e datato, fra quadri di Ghizzardi e schizzi di Ligabue, artisti a chilometro zero si direbbe oggi. Senza concessioni alla modernità. Così senza pretese di insegnare nulla a nessuno, se non come si può vivere bene nella bassa padana se hai la fortuna di avere nel tuo paese il locale del “sindic”.

foto di copertina tratta da: www.cavaliersaltini.com