Con le parole che seguono il Prof. Stefano Bruno Galli ricorda come ricada oggi l’anniversario della prima pubblicazione de “Il Cisalpino”, buona lettura…

Nelle stesse ore in cui il Paese si liberava dal ventennio fascista e si lasciava alle spalle cinque anni di guerra, usciva a Como il primo numero de “Il Cisalpino”, un settimanale “federalista nazionale” (come annunciava il sottotitolo) fondato da alcuni giovani neolaureati della Bocconi e della Cattolica. Era il 27 aprile 1945. Lo stesso giorno Benito Mussolini, una cinquantina di chilometri più a nord, cercava invano la via della fuga verso la Svizzera.

Dalle pagine del settimanale, i cisalpini – guidati dal professor Pietro Zerbi e dal giovane Gianfranco Miglio – sostenevano il progetto di costruire un ordine politico federale su base cantonale, deliberatamente ispirato al modello svizzero; un federalismo articolato in tre grandi cantoni, quello cisalpino, quello del centro e quello del sud, concepito per rafforzare la periferia nei suoi rapporti istituzionali e politici con il centro, da dove promana il potere coercitivo dello Stato.

I cisalpini guardavano più in là della caduta del fascismo e dell’archiviazione della monarchia, verso gli assetti istituzionali della futura repubblica democratica in senso federale. Tuttavia, in Assemblea costituente le loro aspirazioni andarono deluse, per via del cortocircuito racchiuso nell’articolo 5 della Costituzione repubblicana, che poggia su una idea di potere perversamente accentratore.

Oltre a richiamare il principio dell’unità e dell’indivisibilità della Repubblica, l’articolo 5 sostiene infatti che la stessa Repubblica ispira le proprie azioni ai principi di “autonomia e decentramento”: ciò vuol dire assumere il presupposto che tutto il potere sia depositato nel centro burocratico e amministrativo dello Stato e che porzioni di questo potere possano, ma solo in talune circostanze, essere graziosamente devolute alla periferia.

Di fronte alla crisi strutturale e sistemica dei nostri giorni, ma anche di fronte alla prospettiva di un governo che potrebbe escludere il centro e il nord produttivo, là dove ha vinto il centrodestra, dobbiamo ammettere che ricostruire il Paese su nuove basi autenticamente federali – sfruttando l’effetto-domino del Referendum del 22 ottobre scorso per l’autonomia della Lombardia e del Veneto, che hanno aperto la trattativa con lo Stato centrale, seguiti poi da Emilia-Romagna e Liguria – è l’unica soluzione per uscire dal pantano.

Ricordare la splendida avventura dei cisalpini è il mio modo di intendere la ricorrenza della Liberazione. «Oggi più che mai – scrivevano – il sopravvivere delle libertà democratiche è in Italia legato al fatto di una coraggiosa e radicale innovazione della struttura dello Stato». Anche noi – dopo il Referendum – dobbiamo gettare il cuore oltre l’ostacolo e pensare il Paese che ancora non c’è, quello federale. Ora e sempre “cisalpini”!