Nelle stesse ore in cui il Paese si liberava dal ventennio fascista e si lasciava alle spalle cinque anni di guerra, usciva a Como il primo numero de “Il Cisalpino”, un settimanale “federalista nazionale” (come annunciava il sottotitolo) fondato da alcuni giovani neolaureati della Bocconi e della Cattolica. Era il 27 aprile 1945. Lo stesso giorno Benito Mussolini, una cinquantina di chilometri più a nord, cercava invano la via della fuga verso la Svizzera.
Dalle pagine del settimanale, i cisalpini – guidati dal professor Pietro Zerbi e dal giovane Gianfranco Miglio – sostenevano il progetto di costruire un ordine politico federale su base cantonale, deliberatamente ispirato al modello svizzero; un federalismo articolato in tre grandi cantoni, quello cisalpino, quello del centro e quello del sud, concepito per rafforzare la periferia nei suoi rapporti istituzionali e politici con il centro, da dove promana il potere coercitivo dello Stato.
I cisalpini guardavano più in là della caduta del fascismo e dell’archiviazione della monarchia, verso gli assetti istituzionali della futura repubblica democratica in senso federale. Tuttavia, in Assemblea costituente le loro aspirazioni andarono deluse, per via del cortocircuito racchiuso nell’articolo 5 della Costituzione repubblicana, che poggia su una idea di potere perversamente accentratore.
Oltre a richiamare il principio dell’unità e dell’indivisibilità della Repubblica, l’articolo 5 sostiene infatti che la stessa Repubblica ispira le proprie azioni ai principi di “autonomia e decentramento”: ciò vuol dire assumere il presupposto che tutto il potere sia depositato nel centro burocratico e amministrativo dello Stato e che porzioni di questo potere possano, ma solo in talune circostanze, essere graziosamente devolute alla periferia.
Di fronte alla crisi strutturale e sistemica dei nostri giorni, ma anche di fronte alla prospettiva di un governo che potrebbe escludere il centro e il nord produttivo, là dove ha vinto il centrodestra, dobbiamo ammettere che ricostruire il Paese su nuove basi autenticamente federali – sfruttando l’effetto-domino del Referendum del 22 ottobre scorso per l’autonomia della Lombardia e del Veneto, che hanno aperto la trattativa con lo Stato centrale, seguiti poi da Emilia-Romagna e Liguria – è l’unica soluzione per uscire dal pantano.
Ricordare la splendida avventura dei cisalpini è il mio modo di intendere la ricorrenza della Liberazione. «Oggi più che mai – scrivevano – il sopravvivere delle libertà democratiche è in Italia legato al fatto di una coraggiosa e radicale innovazione della struttura dello Stato». Anche noi – dopo il Referendum – dobbiamo gettare il cuore oltre l’ostacolo e pensare il Paese che ancora non c’è, quello federale. Ora e sempre “cisalpini”!