Cicci se ne è andato. Pare abbia raggiunto il Silvan sulla luna.

La notizia mi crea un forte disagio e provoca in me un grande dolore: Cicci da oggi non è più fra noi.  Se ne è andato un pezzo di storia padana.

Cicci, al secolo Pasicrate Remagni ha rappresentato una delle più orgogliose e tenaci forme di identità territoriale che io abbia mai conosciuto. Era nato nel 1922 a Pomponesco e come tutti i pomponescani era stato da subito dotato di “scudmai”. Un soprannome, appunto di quelli che ti restano per tutta la vita. Durante la guerra era stato paracadutista e poi partigiano. Per tutta la vita falegname, come il nonno e come il padre. Quasi due secoli di falegnameria in riva al Po. Appassionato di arte e politica era un forte autonomista che divorava letture di tutti i generi, ma che soprattutto coltivava il culto delle tradizioni e delle leggende popolari del Po.

Un padano a tutto tondo che si era distinto negli anni per la verve giustamente polemica e correttamente aggressiva. Si può dire non gli mancasse la parola e assecondasse questa sua passione raccontandone tramandando leggende imparate che nessuno aveva mai avuto il gusto di trascrivere. Chissà, forse buona parte  di quelle storie traeva origine dalla sua fervida fantasia. E poi la passione per il canto, il cosiddetto bel canto. Anche negli ultimi anni della sua vita, finché c’è riuscito, ha sfruttato la propria voce forte e baritonale per recitare poesie e cantare. Un artista a tutto tondo. Un artista di quelli di una volta. Uno che aveva coltivato le sue passioni forte del proprio spirito e poco altro. Un autodidatta a tutto tondo. In particolare di lui ricordo col sorriso un episodio destinato a passare alla storia della cultura popolare di questa parte di asta del Po.

Oltre 20’anni fa Roberto Roda apprezzato etnografo del Delta ferrarese un giorno venne a trovarmi, aveva parlato di una strana questione con altri due grandi cultori di storia e leggende locali, Mara Mori di Pomponesco ed Edgardo Azzi di Dosolo. Aveva chiesto a loro spiegazioni su strani fregi che impreziosivano alcuni portoni ottocenteschi del piccolo centro gonzaghesco. Venne indirizzato a colui che ritenevano potesse essere l’unico in grado di dare una risposta plausibile al quesito appunto. In un afoso pomeriggio nel silenzio assordante della pianura si sentirono dare una risposta tonante da un ormone in canottiera: semplice il Silvan. E da lì parti’ una lunga narrazione della leggenda del cosiddetto Silvan, che anticamente si narrava fosse andato sulla luna. 

Una creatura mistica a metà fra il demone e il folletto che nella tradizione popolare serviva a spiegare alle masse contadine il fenomeno delle macchie lunari. Secondo la leggenda quelle macchie erano appunto il Silvan. E per esorcizzarlo a pomponesco nell’800 si incidevano immagini del Silvan appunto su una luna stilizzata, che per la verità somiglia più al sole, sopra i portoni di ingresso principale delle abitazioni nel borgo. Una storia fantastica e intrigante che mi convinse, allora giovane sindaco, a patrocinare nel 1999 la pubblicazione di un libro di grande successo e decisamente di grandissima suggestione. Ci sarebbero altre decine di episodi da raccontare, ma questo è quello di più facile riscontro. Tutti se vogliono hanno la possibilità di leggersi quel libro ancora in commercio, che solo parzialmente rende omaggio alla nostra storia e ad un grande interprete della stessa.

Buon viaggio Cicci, stanotte guarderò la luna per vedere se anche la tua sagoma farà  coppia con quella del Silvan.