La Lombardia non ha una grande cultura del caffè, nel senso che per i lombardi il caffè è un mezzo per giungere decentemente a fine giornata, non un fine culturale da perseguire in autonomia.

Tuttavia, la tradizione lombarda del caffè è molto interessante, oltre che molto antica. D’altronde, il caffè in Europa è arrivato a Venezia intorno al 1600, e Milano ha potuto accedere alla gloriosa bevanda prima di molti altri. I caffè letterari, in un periodo in cui Milano era una fiorente città alla periferia della Mitteleuropa, erano un punto di incontro per filosofi illuministi, che discutevano, tra una poesia in milanese e un trattato sul diritto in italiano, il tutto mentre in zone ben note oggi per la propria cultura del caffè tale bevanda non era ancora arrivata.

Riscoprirla può permetterci di assaporare bevande storiche, o anche solo di provare caffè diversi, magari obliati dalla “testardaggine” italiana del considerare come caffè degno solo l’espresso.

Vediamo quindi la storia del caffè in Lombardia, affiancata da un po’ di cultura generale sul tema!

El cafè del pignatin

Un “masnin”

Quando ancora non esistevano le caffettiere, o erano troppo costose, il caffè si faceva in un modo molto semplice: in un pentolino, in lombardo pignatin o pariolin. Pratica diffusa un po’ in tutta Europa, si traduceva in una preparazione spartana, da compiersi tutta sulla stufa: prima si usava il brusin per tostare il caffè, poi il masnin per macinarlo e poi si bolliva dell’acqua nel pentolino.

Qui, la ricetta variava molto da caso a caso: alcuni mettevano anche dei succedanei del caffè, specie durante il periodo dell’autarchia o nelle famiglie più povere, i più comuni? L’ormai dimenticata Miscela Leone, la cicoria e l’orzo, addirittura in campagna qualcuno andava a raccogliere erbe da tostare per il proprio caffè personale.

Nel caso del caffè “puro” e in buona quantità, la cosa migliore da fare è mettere il caffè nel pentolino appena tirato via dal fuoco, con l’acqua appena giunta a bollore, mischiare, aspettare qualche minuto e poi passare il tutto per un colino (che in lombardo si chiama colin, per chi fosse interessato), se si desidera.

Nel caso di aggiunta di succedanei, invece, era comune portare a bollore l’aqua cafetada, questo è il nome lombardo dell’acqua infusa di caffè, poiché permetteva di estrarre più componenti amare dal caffè rispetto alla tecnica sopra descritta.

Il risultato di questa tecnica, che gli esperti del caffè denominano infusione o immersione, è una bevanda che conserva tutti gli oli del caffè (attenti al colesterolo!), con un sapore quindi molto diverso dai caffè che beviamo oggi, ma spesso più interessante e, soprattutto, ben più difficile da bruciare o da rendere imbevibile. Se volete provarla potete ovviamente farlo con un normale pentolino, una buona dose di partenza sono 60 grammi per ogni litro d’acqua che usate, 70 se volete una bevanda più forte e corposa, ma meno aderente all’uso antico ben più moderato.

I nostri nonni, poi, solevano aggiungere qualcosa al caffè, spesso per copertine la leggerezza: grappa, vino, latte o anche un pezzo di burro erano all’ordine del giorno, così come erano all’ordine del giorno colazioni con polenta, latte e caffè o con rossumada corretta con il caffè.

La caffettiera napoletana

La tipica caffettiera a gravità oggi tipica del capoluogo campano è stata a lungo presente nelle cucine della Lombardia, ma anche del resto d’Europa. Inventata nei primi del 1800 da un francese, si dice che sia stata chiamata napoletana per via dell’amore dell’inventore per una ragazza partenopea.

L’appeal di questa caffettiera, chiamata in lombardo cogoma, è chiaro: è molto più semplice del metodo antico e non richiede alcuna filtrazione, né di convivere con i fondi nella tazza.

Il principio di funzionamento è molto simile a quello del pour over americano: l’acqua calda estrae per gravità aromi e caffeina dal caffè, ma la quantità di fondi è ridotta, proprio grazie al filtro metallico. Tuttavia, a differenza della carta classica dei filtri americani, il metallo lascia passare più oli, regalando un caffè più caratteristico e interessante, per quanto decisamente più simile ad un caffè che berreste a New York che a Milano oggi.

Se volete provarla, qualsiasi ricetta che si trova online va bene, ed è importante seguirla con attenzione, per evitare di fare errori da utenti della moka e ottenere un caffè oscenamente amaro, come ho fatto io la prima volta che l’ho usata 🙂

E se vi mette in ansia l’idea di capovolgere un arnese pieno di acqua bollente, potete anche usarla “invertita” e mettere l’acqua nella caldaia del filtro senza usare il pezzo sotto per bollirla, in tal caso però riscaldate la caffettiera prima con altra acqua bollente, altrimenti si raffredderà non poco, rovinando l’estrazione.

Espresso

L’espresso. Mi piace provare vari tipi di caffè, ma avrà sempre un posto speciale nel mio cuore. D’altronde, se tutti gli altri caffè sembrano dell’acqua con dentro del caffè, similmente a tè e tisane, solo l’espresso ha quella carica cremosa che lo contraddistingue, rendendolo un qualcosa di speciale e, per molti all’estero, forte, grazie all’estrazione in pressione e con una ridotta quantità d’acqua.

La macchina del caffè espresso come la intendiamo oggi nacque a Milano nel 1901, inventata da Luigi Bezzera e ceduta l’anno dopo al signor Pavoni (nome che dirà qualcosa agli appassionati di caffè). Ma all’epoca l’espresso era ancora un po’ vuoto, veniva fatto a circa tre bar di pressione.

Bisognerà attendere, sempre a Milano, il signor Gaggia (altro nome che dirà qualcosa a qualcuno) che, nel 1938 e col supporto del signor Cremonese, creerà la prima macchina dell’espresso ad alta pressione, sui 9 bar, una pressione così alta che il caffè faceva da solo la crema. Una cosa che spaventava qualcuno, ma che divenne rapidamente un’hit del marketing: “crema caffè naturale”.

Ovviamente, dare consigli sull’espresso non sarebbe una cosa saggia. Ma, mentre siete al bar, la prossima volta, pensate a quanta scienza e quanta storia c’è dietro a quella tazzina…

Caffettiera a stantuffo

Ma mentre il caffè espresso era ancora agli albori, il milanese Ugo Paolini stava lavorando ad un sistema per separare il succo di pomodoro dalla polpa ed ebbe un’idea: perché non usare il medesimo sistema per fare il caffè?

Così nacque, nel 1923, la caffettiera a stantuffo, detta oggi più comunemente french press. Brevettata nel 1928, nel 1929 diventa una hit del design italiano e si diffonde in tutto il mondo, ma viene dimenticata alla svelta in patria, tant’è che oggi viene appunto chiamata francese.

Il che, permettetemi, è comico: una caffettiera francese viene chiamata napoletana, una caffettiera milanese viene chiamata francese, e una caffettiera ossolana – la Moka – viene chiamata, in portoghese, greca. Sembra quasi che chi dà i nomi alle caffettiere lo faccia dopo il caffè corretto.

In ogni caso, la caffettiera a stantuffo altro non è che un pignatin più evoluto: invece di dover usare un colino, si utilizza il filtro metallico che, insieme alla gravità, separa i fondi più grandi dalla bevanda, lasciando un caffè ricco in olio, sapori e caffeina.

Se oggi molti baristi noti hanno tecniche speciali per usarla, che vi consiglio di approfondire qualora foste interessati a provarla, è anche vero che ottenere un caffè decente con tale caffettiera è davvero sufficiente avere caffè e acqua.

E la si può usare anche per montare il latte e fare un cappuccino!

In un certo senso, la caffettiera a stantuffo potrebbe meritare il titolo “la milanese”, dato che ha permesso di “automatizzare” il classico procedimento utilizzato in Lombardia per fare il caffè.

La Moka

Penso che quasi tutti abbiano in casa questa iconica caffettiera, prodotta dall’ossolano Alfonso Bialetti a partire dal 1933 con il nuovo materiale autarchico: l’alluminio.

La Moka si ispira al funzionamento delle antiche lavatrici a lisciva, ossia utilizza le proprietà del vapore per far passare acqua calda in un letto di caffè, così da estrarne ciò che conta.

Per quanto non sia un espresso, l’estrazione avviene ad una pressione decente, tra l’una e le due atmosfere, e ciò porta a un caffè che, se fatto bene, può avere una concentrazione simile a quella dell’espresso, circa i 2/3 di quest’ultimo, che per molti costituisce una dignitosa alternativa all’andare al bar, per quanto – è bene ricordarlo – è un’alternativa ben più caffeinica.

La Moka è significativa per le Terre di Lombardia non solo per l’essere ormai caffettiera domestica d’elezione dell’Europa centrale e mediterranea, presente in molte case dalla Spagna a Trieste e da Praga a Trapani (e anche nel Regno Unito), ma anche per il luogo di invenzione: la fu provincia di Novara, oggi divisa in Novara e VCO, è sì amministrativamente piemontese, ma è anche quasi totalmente lombarda culturalmente, economicamente e linguisticamente, non a caso era chiamata “Lombardia Savoiarda”.

Non penso ci sia molto altro da dire sulla Moka, però posso darvi due suggerimenti che i baristi e gli esperti di caffè danno:

  1. La Moka si deve pulire. L’idea della Moka come un qualcosa da sciacquare e basta viene dall’epoca in cui non si conosceva ancora l’oleosità del caffè, è quindi necessario pulirla come si deve se non si vogliono sapori indesiderati. Non bisogna metterla nella lavastoviglie, però!
  2. Se il caffè della moka sa di bruciato ed è troppo amaro, potete provare a riempire la caldaia sotto con acqua già bollente: ciò ridurrà i tempi di contatto tra il caffè e l’acqua calda portando ad un’estrazione più leggera.

Se volete proprio fare il caffè della Moka “like a pro“, esiste una “ricetta voodoo” sviluppata dallo youtuber e esperto di caffè irlandese Thomas Greene.

Bonus: la barbajada

La Barbajada, chiamata così dal nome del suo inventore Domenico Barbaja, fu una bevanda in voga nei primi dell’800 nei caffè d’Europa, che poi si perse nel ‘900, tornando in voga negli ultimi anni, tanto da divenire un DeCo di Milano nel 2008

Tale bevanda è, molto semplicemente, un insieme di panna, caffè, latte e cacao, che viene servita fredda in estate e calda in inverno.

La ricetta è semplice: si mettono in un pentolino il caffè, solitamente ben zuccherato, il cacao per fare la cioccolata o anche il cioccolato fuso e il latte e, a fuoco basso, si mischia con una frusta finché non si ottiene una sostanza cremosa con una schiuma sopra.

Poi, si versa nella tazza e si copre di panna montata e, se gradito, di cacao in polvere.

La dose a cui puntare dovrebbe essere di una tazza da 200/250 ml per persona, con circa 50 o 60 ml di caffè, la stessa quantità di latte e il resto in cioccolata e panna montata. Alcuni sostituiscono parte del latte con della panna, potete seguire qualsiasi ricetta online e ottenere buoni risultati.

Ma la cosa davvero interessante è che potrete provarla non solo con un classico espresso o caffè della Moka, ma anche con un vero caffè lombardo dell’epoca!

Vocabolario lombardo del caffè

Tutte le parole sono scritte con lo standard ortografico “Noeuva Ortografia Lombarda“:

  • Cafè: caffè
  • Cafè espress: caffè espresso
  • Cafè a mità: caffè macchiato
  • Caferin: vezzeggiativo di caffè, utilizzabile sia per la bevanda che per il locale
  • Aqua cafetada: acqua con infuso il caffè
  • Cafè negher: caffè forte stile americano
  • Broeud de fasoeui: scherzoso per caffè cattivo
  • Cafetaria: caffetteria
  • Cafetera: caffettiera
  • Cafenin: piccolo locale dedicato al bere caffè
  • Brusà el cafè: tostare il caffè
  • Brusin: tostatore domestico
  • Masnà el cafè: tritare il caffè
  • Masnin: macina-caffè
  • Cafeter: caffettiere
  • Cafèaus: bottega elegante dedita al bere caffè