Forse uno dei segreti di Pulcinella della storia dell’unità d’Italia è l’invenzione dell’Emilia: termine scelto da Carlo Farini per identificare quell’insieme di Ducati e legazioni pontificie da lui unificate, includenti anche l’odierna Romagna, prima veniva usato – e anche raramente – in vago senso geografico.

Etnicamente, qualunque cittadino dei Ducati di Parma e Piacenza e Modena e Reggio si sarebbe definito… lombardo! Non è questo il luogo per discutere se ciò significhi qualcosa oggi o meno, tuttavia basta una visita su Wikipedia per vedere come questo fatto sia conosciuto, si veda Reggio Emilia o, addirittura, la medesima voce Emilia!

Mi son chiesto, dunque: ma l’Appennino tosco-emiliano com’era chiamato prima che qualcuno decidesse di costituire l’Emilia? E la risposta, parziale, la vedete già dal titolo: esisteva la dizione Appennino Lombardo, ma non è tutto!

Essa si trova soprattutto in testi, tra la fine del ‘700 e l’800, relativi all’agricoltura e alla medicina, ad esempio:

Io non l’ho mai veduta in Toscana, e l’ho ricercata inutilmente in Piemonte e in tutta la linea dell’Appennino lombardo, da Novi a Bologna, ove ho viaggiato nella stagione della sua maturazione

Il Gran Sasso d’Italia opera periodica di scienze mediche ed economiche, 1843

Addirittura, in epoca unitaria, leggiamo:

Il fico della goccia, o goccia d’oro delle colline dell’Appennino lombardo da Voghera fino a Bologna

Bulletino della Società toscana di orticultura, 1877

Comunque, non è chiara la paternità del testo, che potrebbe essere anche dell’anno prima.

In linea di massima, la tendenza era a denominare l’Appennino in base alla zona più vicina, oppure allo Stato: Appennino toscano, piacentino, parmense, modenese, reggiano, bolognese, pistoiese…

Alle volte, Appennino toscano era anch’esso un sinonimo per Appennino tosco-emiliano, si veda la “Corografia fisica, storica e statistica dell’Italia e delle sue isole, corredata di un atlante, di mappe geografiche e topografiche, e di altre tavole illustrative di Attilio Zuccagni-Orlandini” (1835), che così lo denomina.

Non mancava certamente l’idea che quei monti fossero lombardi, ad esempio Lazzaro Spallanzani, nel suo rendiconto dei viaggi (Viaggi alle Due Sicilie e in alcune parti dell’Appennino, 1792) dà praticamente per assodato la lombardità di quei monti, come ben leggiamo:

Ma nelle montagne elevate dell’Appennino che sovrastano al suolo lombardo

Ma seppi dappioi che vi erano stati incisi dai viaggiatori quando in inverso passando dal suolo lombardo al toscano

Così come l’abate De Cesaris, intorno al 1820, descrivendo gli Appennini nelle “Effemeridi astronomiche”:

L’Appennino situato nella riva destra del Po comincia fra levante e mezzodi col monte Cimone che divide la Lombardia dalla Toscana e continua fino al monte Penice posto quasi al mezzodì

nel Dizionario geografico fisico storico della Toscana (1835) del geografo carrarino Emanuele Repetti si parla di:

la cima del Cimone che è il più elevato di tutta la giocana settentrionale appartiene all’opposto dorso dell’Appennino pistojese nella regione Lombarda del Ducato di Modena

Ma anche:

Il Monte Cimone, spettante alla Lombardia modenese, supera in elevatezza tutte le cime dell’Appennino centrale

Come mai, dunque, non si usavano particolarmente le denominazioni regionali? Probabilmente per la stessa ragione per cui oggi ci si riferisce proprio agli Appennini in chiave regionale! Infatti, se in uno Stato italiano dire “Appennino tosco-emiliano” è un’utile classificazione geografica perché lo associa ad entità abbastanza grandi e conosciute da essere ben definibili, in uno Stato più piccolo per ottenere lo stesso effetto bisogna usare le relative entità di primo livello.

In questo caso “Appennino lombardo” è un termine che avrebbe coperto almeno quattro Stati: il Ducato di Parma, quello di Modena, il Granducato di Toscana e lo Stato Pontificio e, in altre accezioni, anche il Regno di Sardegna (mentre, curiosamente, il Regno Lombardo-Veneto non aveva gli odierni Appennini lombardi, che vennero uniti alla Lombardia “austriaca” dai Savoia, con il rimaneggiamento dell’area dell’Oltrepò pavese)

Ossia, un termine utile in pochi casi descrittivi, specie in campo agricolo e simili, ossia proprio dove l’abbiamo trovato! Per gli altri, era molto più utile riferirsi alla propria provincia o, al massimo, al proprio stato.

Tutto ciò, comunque, ci ricorda che la dimensione culturale lombarda certamente non termina al Po o al confine amministrativo definito da beghe dinastiche e, poi, geopolitiche…