Nello studio della storia lombarda una cosa che ho sentito spesso è:
“Il termine Lombardia venne perduto con la fine della Lega Lombarda e venne solamente recuperato dall’Impero Austriaco per denominare una delle due metà del Regno Lombardo-Veneto”.
Qualcuno la dice così, come semplice fatto, e qualcuno prova anche a metterci un’accezione identitaria o politica. Peccato che sia un’affermazione sbagliata, per quanto origini da un fatto giusto.
La verità, infatti, è che, dalla Lega Lombarda in poi, non è esistita un’entità statuale con il nome Lombardia, fino appunto al Regno Lombardo-Veneto.
Tuttavia, il termine non scomparve affatto, anzi! Da qualche parte, d’altronde, gli Asburgo dovranno pur averlo preso!
Infatti, il termine continuò a indicare un’area nel Nord Italia, che via via si ridusse: ai tempi della Lega il termine era utilizzabile quasi indistintamente per tutta la regione padana, poi si distinsero il Veneto, poi il Piemonte (comunque, fino al ‘700, città come Torino e Vercelli erano ancora ritenute “di Lombardia”, dato che la parte di Regno Longobardo sotto il regno sardo erano considerate parte della Lombardia Savoiarda – termine che poi si è ridotto indicando solo quelle zone del Piemonte di lingua lombarda – come dimostra ad esempio la “Biografia piemontese di Carlo Tenivelli”, lo so, è un bel casotto) e la Liguria, nei fatti Genova era ritenuta “porta di Lombardia” ma non parte di essa.
“Lombardo” era anche essenzialmente sinonimo di ciò che oggi chiamiamo “gallo-italico”, ossia l’insieme delle lingue romanze occidentali parlate in quella che fu la Lombardia storica, escludendo dunque ligure e romagnolo: negli anni ’50 del 1800 tale termine “monolitico” divenne obsoleto e si iniziarono a trattare le varie lingue in modo separato.
Noterete che non ho citato l’Emilia, questo perché, in verità, non si è mai distinta dalla Lombardia prima dell’Unità d’Italia: Reggio Emilia, fino all’annessione al Regno d’Italia, si chiamava Reggio di Lombardia e città come Piacenza, Parma e Modena erano senza ombra di dubbio città della Lombardia, mentre è sempre stato più dubbio il posizionamento di città come Ferrara o Bologna, a detta delle enciclopedie dell’epoca.
Il termine Emilia venne coniato dal Farini, autoproclamato “Dittatore dell’Emilia”, per indicare tutta quella che oggi viene chiamata Emilia-Romagna e, quando i romagnoli non presero bene il nuovo nome, rimase solo per la parte occidentale della Regione, istituita secondo molti per non avere una Lombardia eccessivamente preponderante sul resto del Paese.
Anche solo guardando la storia letteraria lombarda, per restare un po’ più locali, possiamo notare che il termine non si sia mai estinto: nel De magnalibus urbis Mediolani, testo in lingua latina del 1288 (quando la Lega Lombarda era essenzialmente sciolta) dedicato alle bellezze di Milano, ha da dire che:
Una fama universale esalta, fra tutti i paesi del mondo, la Lombardia, e per la sua posizione, e per la frequenza dei luoghi abitati e la densità degli abitanti, e per la bellezza e la fecondità delle sue pianure; e fra le città di Lombardia esalta Milano
E poi, della storia della Lega Lombarda:
O Milano, o città insigne, irrorata dal sacro sangue di santi martiri, o Milano che, come leonessa, solevi avere la suprema gloria di fortezza fra tutte le città della Lombardia, perchè giacesti oppressa in tanto obbrobrio di schiavitù?
In effetti, però, Bonvesin era ancora vicino alla Lega, andiamo un po’ più avanti.
Il 1400 non fu certamente un periodo d’oro per la letteratura in lingua volgare, mentre nel 1500 si son viste varie opere interessanti, tra cui il Cheribizo, un’opera che descrive la Milano dell’epoca in un milanese travestito da bergamasco, scritta nel 1588 ma pubblicata solo nel 1624, dove leggiamo:
Vedarì po le gran fondegarie
da pever, spezei, zenzov e zafran,
cinamon e garofei e tresia
e zucher e ughet e nos moscat,
confeti d’ogni sort e bon candidi
e tant silostr’e torcie e candilot
da fà lusor per tutta Lombardia.Vedrete poi le grandi drogherie
di pepe, spezie, zenzero e zafferano
cannella, garofani e confetti
e zucchero e uvette e noce moscata
confetti d’ogni tipo e buoni candidi
e tanti ceri e torce e candelotti
per dar luce a tutta la Lombardia
Però, non bisogna buttare via tutto il ‘400: infatti, nel 1445 uscì un testo scritto a Milano, però in catalano: Curial e Güelfa. Della storia di questo poema cavalleresco ho già parlato, ma in sostanza è un poema ambientato nel Monferrato dove, a un certo punto, il protagonista deve farsi riconoscere dall’amata dopo una lunga lontananza e lo fa…
Començà a parlar lengua lombarda
Comincia a parlare lingua lombarda
Iniziando a parlare in lombardo, mentre prima parlavano in francese.
Anche nel ‘600 vediamo un uso del termine, per esempio in uno scritto dell’Academia dla Baslætta, un gruppo dialettale pavese:
Arrivà in Lombardia, sintim e dem a trà, parchè vegn al pù bon
Arrivati in Lombardia, sentiamo e ascoltiamo, perché diventa più buono
E anche nel 1700 possiamo trovare il termine, tra l’altro in una poesia quantomeno interessante, ossia una sorta di lamentela per i continui cambi di governo della zona: la poesia, che vi consiglio di leggere, si intitola proprio “Stat de Lombardia del 1746”.
E, nel 1800, abbiamo un esempio davvero palese: la ben nota poesia di Carlo Porta “Paracar che scappee de Lombardia“, dedicata ai francesi in fuga dalla Lombardia, scritta nel 1814, un anno prima della creazione del Regno Lombardo-Veneto.
Se questa non è sufficiente evidenza dell’esistenza e dell’uso del termine Lombardia per definirla, beh, non so cosa lo sia…
Ma cos’era la Lombardia all’epoca?
Oggi tendiamo a identificare stato e nazione, e l’eccezione (Svizzera, Belgio…) salta all’occhio, ma un po’ di tempo fa, prima di Napoleone, così non era: la normalità era separarle, uno stato poteva regnare su più nazioni e una nazione poteva tranquillamente avere più stati al suo interno.
All’epoca, ciò che contava per definire una persona erano Patria e Nazione. Se oggi questi termini sono spesso usati in modo intercambiabile, all’epoca – coerentemente con un uso più “latino” del termine – così non era: la Patria era la terra dei padri, solitamente di dimensione libero-comunale: Milano, Bologna, Correggio, Bergamo, Brescia, Torino, Reggio, Como erano patrie.
La Nazione, invece, era un concetto più etno-geografico-sociale. La nazione era, per le città menzionate all’epoca, la Lombardia. Erano città spesso in Stati diversi, magari anche in guerra tra di loro ogni tanto, ma che avevano sufficiente coesione etnica da essere definiti come un’unica comunità.
Per questa ragione non c’era un’ossessione per la nazione, come ad esempio c’è stata nell’epoca romantica: qualcuno – si veda Bonvesin – la menzionava in maniera positiva, ma spesso era per lodare ciò che era più vicino: la Patria, ossia la Città.
La nazione, prima di Napoleone, era tendenzialmente la cosa più lontana con cui identificarsi, prima veniva la città, l’Heimat, per dirla come i tedeschi. Una sorta di federalismo identitario completamente stravolto dopo il 1800 ma che, probabilmente, se mantenuto, avrebbe ridotto la litigiosità tra umani, ben più abituati a considerare sia le diversità che le vicinanze come valori, a differenza del sistema del nazionalismo che ha aggiunto alle cause della guerra anche il mero odio nazionale.