Egr. Direttore,
oggi l’astensionismo è il primo partito ovunque in Europa. In Italia è caduto l’obbligo di partecipare al voto ed oggi votare è un diritto ma non più un dovere. L’astensione di oggi non è qualunquismo tradizionale ma astensione mobile e tattica, talvolta interessata e strumentale. Ed è nell’alveo di questo fenomeno che registriamo politici di rango nazionale, perlopiù meridionalisti, spinti da interessi di partito o per legittimazione personale lanciare propositi di astensione per il prossimo referendum lombardo. Confermato anche da numerosi studi internazionali, le democrazie moderne funzionano con tassi di presenza molto bassi, pertanto viene da pensare che la smisurata partecipazione politica al referendum spagnolo, seppur non propriamente elettorale tenuto conto delle intimidazioni del governo, possa essere ricondotta a follia evangelica. Invece è l’espressione di volontà di intervento nella vita politica ed economica dei cittadini dei territori lontani dal centro secondo i presupposti del più alto principio di sussidiarietà.
Partecipare al referendum della Lombardia del prossimo 22 Ottobre, è il tentativo di proporre un radicale mutamento di prospettiva nel modo di concepire il territorio, un nuovo sguardo contro l’incuria e l’inazione, l’occasione per attuare nuove riforme, per disporre di ragguardevoli risorse al fine di fornire servizi migliori ed appunto raggiungere le decisioni sostanzialmente nel livello più vicino ai cittadini laddove questo sia in grado di svolgerli meglio del livello superiore.
Pertanto che siate inattivi, conformisti, riformisti, attivisti o protestatari questo momento è irripetibile. Nessuna lamentela, protesta, recriminazione o tono seccato potrà perdonare e legittimare il nostro disinteresse o apatia al voto. Perché questa volta, come sottolinea il responsabile al referendum lombardo Gianni Fava: “Ci stanno rubando i soldi del nostro lavoro. Chi non va a votare è complice di chi ci ruba i soldi”.