Vento ed acqua, con un pizzico di magia. Questi sono gli elementi narrativi, le suggestive premesse che ammantano quello che, fino a poco tempo fa, poteva ritenersi uno dei segreti meglio custoditi dell’alta Lombardia. Trattiamo di Rivo Gin, concepito artigianalmente nei dintorni del Lago di Como, recentemente divenuto ricercatissimo nettare per i migliori locali d’Italia. Un fenomeno interessante, proprio perché “nato dal basso”, con le radici ben piantate nel territorio lariano, ma dall’appeal potenzialmente internazionale. A fronte di una produzione limitata, giacché tuttora gestita in famiglia privilegiando la qualità degli ingredienti, la caccia alla fornitura può diventare chimerica. Questo distillato lo s’incontra quasi solo nei locali dove vige il culto della miscelazione più raffinata, fatto che può rendere assai orgoglioso Marco Rivolta, ideatore di Rivo assieme alla madre. Dietro la sigla, infatti, si cela una perfetta simbiosi domestica. Finita l’epoca delle bevute generaliste, terminata pure la “sbornia” collettiva da Gin Tonic esotici, già fin troppo brandizzati (i vari Hendrick’s, Mare, Monkey 47, Tanqueray, etc.), cresce ora l’esigenza “culturale” di un confronto gustativo meno vago, con quello che si è soliti definire “territorio”.

gin 2Rivo esaudisce appieno le aspettative di appartenenza, portandosi appresso, non solo esteticamente, il fascino un po’ misterioso del lago e delle alture circostanti. Prima di giungere al prodotto finito, c’è infatti il cosiddetto “foraging”, ovvero l’avvincente ricerca delle erbe, operazione che somiglia, lassù in montagna, ad un rito sapienziale, ad una missione iniziatica. La citazione stregonesca che aleggia attorno alla bottiglia, oltre a ribadire leggende d’altri tempi, è in questo caso utile ad evocare atmosfere arcane di sperduti sentieri. Occorre dapprima individuare i percorsi da battere, talvolta piuttosto impervi, per poi concentrarsi sulla minuziosa indagine etno-botanica funzionale alla raccolta; oltre a coriandolo, ginepro, timo, melissa, cardamomo e angelica – relativamente conosciuti – il gin comasco è arricchito da un bouquet autoctono comprendente serpillo, pimpinella e santoreggia. I 12 aromi, scovati e colti a mano, non s’aggiustano in un mero accumulo di fragranze, ma si armonizzano alchemicamente, a testimonianza di un lavoro di sperimentazione e di ricerca, nonché della perfetta conoscenza morfologica del luogo.

L’incontro con Rivo è stato del tutto casuale. Di passaggio a Uggiate Trevano, lo scrivente si concesse un frugale aperitivo al bar della piazza. Scrutando tra le bocce dietro al bancone, per la scelta del gin, l’attenzione venne catturata da un’ignota bottiglia, dalla bella forma arrotondata. Quattro lettere dall’efficace font retrofuturista – attorniate da grafica geometrica indicante le polarità degli elementi – ordinate in elegante tinta azzurra. Dettagli di design, altro dal semplice packaging ammiccante. Il gestore del locale ci spiegò, molto sommariamente, che quello era il “gin di Como”. Tanto bastò, visto che di gin lombardi ancora non s’era sentito parlare. Già al primo approccio Rivo stupì positivamente, ribadendo dopo la degustazione un sorprendente aroma balsamico, un sentore “mistico” davvero personalissimo, inaccostabile ad altre sigle più o meno note. Le botaniche emergono con le rispettive peculiarità, in equilibrio perfetto, come suggerito dalla grafica apposta sul vetro, senza lasciarsi vincere dai pur robusti 43 gradi alcolici. Fu davvero una bella scoperta, probabilmente destinata a restare confinata lassù o ad un eventuale ritorno.

Altrettanto casualmente giunse la lieta smentita, allorquando chiacchierando di miscelazione e di nuovi cocktail con il barman Marco Pistone, tornò fuori il Rivo, a proposito di una imminente fornitura proprio al Mint Julep di Cremona. Incontri, questi, che permettono al cliente di aumentare il grado di consapevolezza, almeno riguardo a ciò che viene mixato e quindi versato nel bicchiere. Dinnanzi alla standardizzazione dell’offerta globalizzata, solo la conoscenza può agevolare richieste non omologate, contribuendo così – attraverso la scelta precisa e mirata – alla crescita delle autoproduzioni e delle micro-produzioni. Ovvero il più grande patrimonio che caratterizza le nostre terre. Avere la possibilità di gustare gin Rivo non troppo lontano da casa, intuire in quel gusto così diverso tutto l’amore per quella terra verde di confine, cinta tra monti ed acque, può essere certamente considerato un piccolo privilegio. Un orgoglio che in qualche modo lega produttore e consumatore: entrambi sanno bene di avere a che fare con qualcosa di veramente speciale.