Il 3 febbraio ricorre la festività di San Biagio ed in questo periodo, numerose tradizioni vanno ad intersecarsi tra loro al fine di rievocare la storia dei nostri territori.
Biagio di Sebaste, noto come san Biagio (III secolo – Sebaste, 316), è stato un vescovo cattolico e santo armeno, venerato come santo dalla Chiesa cattolica (vescovo e martire) e dalla Chiesa ortodossa.
Il martire Biagio è ritenuto dalla tradizione vescovo della comunità di Sebaste in Armenia al tempo della “pax” costantiniana; il suo martirio, avvenuto intorno al 316, è spiegato dagli storici con una persecuzione locale dovuta ai contrasti tra l’occidentale Costantino e l’orientale Licinio.
Nell’VIII secolo alcuni armeni portarono le reliquie in Italia.
Avendo guarito miracolosamente un bimbo a cui si era conficcata una lisca in gola, egli è invocato come protettore per i mali di quella parte del corpo: secondo un antico detto “San Biàs a l’ te presèrve la góla da i rèsche de pèss e da töt ol rèst” (San Biagio ti preservi la gola dalle lische di pesce e da tutti i malanni).
Nella tradizione cristiana il rito viene impartito utilizzando due candele benedette nel giorno precedente, ovvero per la festa della Candelora.
Proprio nel Duomo di Milano è presente una statua che rappresenta il martire in tutta la sua maestosità e tradizione vuole che, il 3 febbraio, nel capoluogo, oltre alla benedizione della gola, si mangi il “panettone di san Biagio”, in genere avanzato durante le feste di Natale.
Questa usanza ha preso il via da una antica leggenda popolare, secondo cui una donna, appena prima di Natale, si recò da un tal Frate Desiderio per fare benedire il panettone che aveva preparato per la sua famiglia. Il frate, in quel momento alquanto impegnato, le chiese di lasciargli il dolce e di passare a prenderlo dopo qualche giorno, perché lo avrebbe benedetto appena ne avrebbe avuto il tempo. Solo dopo Natale, però, il prelato si accorse di avere ancora in canonica il panettone, del quale si era completamente dimenticato. Essendo ormai secco, il frate pensò che anche la donna se ne fosse dimenticata e quindi lo mangiò nei giorni successivi, per non buttarlo. Solo il 3 febbraio la donna si presentò dal frate per avere indietro il suo panettone benedetto. Frate Desiderio, dispiaciuto per averlo già mangiato, si recò comunque in canonica a prendere il recipiente vuoto da restituire alla donna … qui la sorprendente scoperta: c’era un panettone grande ben due volte quello che gli era stato lasciato a dicembre.
Un miracolo, dunque, avvenuto proprio nel giorno di San Biagio, protettore della gola. Da allora l’usanza è quella di consumare un panettone, definito appunto di San Biagio, proprio in questo giorno.
Ma il ricordo di San Biagio abbraccia tutta la nostra Regione, arrivando sino a Mantova.
“Al dì ‘d San Biàs as benedìs la gola e ‘l nas“.
Il 3 febbraio ha luogo a Cavriana, un piccolo paese ubicato nelle colline moreniche mantovane, un rito antico: la benedizione della gola impartita in chiesa dal sacerdote per mezzo di due candele benedette incrociate sotto il mento.
La Torta di San Biagio è il dolce tipico di questa festività e cardine di una manifestazione che si tramanda da più di 450anni. La leggenda vuole dunque che la ricetta sia molto antica e che originariamente la torta a base di mandorle avesse un diametro di oltre tre metri. Questa veniva poi tagliata ed offerta al pubblico convenuto in Piazza Castello.
Già nel 1600, infatti, dai mandorli di Cavriana si raccoglievano mandorle dal gusto particolare e intenso; questo frutto veniva addirittura da tutti considerato afrodisiaco e, nei mesi invernali gli stessi Gonzaga ne acquistavano grandi quantità per deliziare il palato dei nobili di corte.
Si racconta che, in quel periodo il re francese Luigi XIII inviò una delegazione di cuochi ed esperti pasticceri nel ducato di Mantova col compito di apprendere nuove ricette da utilizzare a palazzo. I cuochi francesi vennero subito a conoscenza delle mandorle di Cavriana e vollero pertanto fare un sopralluogo proprio nei giorni della centenaria fiera di S. Biagio. La popolazione venutane a conoscenza si animò per cercare di dare una degna accoglienza a questi stranieri e decise di preparare qualcosa di unico da donare alla regina Anna, famosa e colta moglie del re. Dalle mani esperte delle donne Cavrianesi e da semplici ingredienti territoriali, nacque un dolce alle mandorle dal gusto contrastante ma equilibrato: rustico come la terra da cui proveniva, raffinato come la sovrana a cui era dedicato.
Da allora è consuetudine nei giorni della fiera svolgere il rituale del taglio e del dono della torta a tutti i visitatori: segno che il tempo non cancella quanto fatto con amore e generosità.