C’è un piccolo libro che, a dispetto dell’autore, si identifica come il manuale del provetto aspirante indipendentista. Sono centoventidue pagine da maneggiare con cura. Testi esplosivi, irriverenti, audaci, a tratti addirittura eversivi. Perlomeno nel senso in cui Piere-Joseph Proudhon, in questo efficace collage di saggi edito dalla piccola Miraggi Edizioni, tenta di rovesciare e scardinare tutta la retorica unitaria italiana. Con una penna arguta e velenosa quanto basta, demolisce mostri sacri del mito italiano. Maneggiare con cura dicevamo, perché si corre il rischio di essere catturati dalla solidità delle sue idee e dalla forza del suo pensiero, trascinandovi su posizioni controcorrente.
«Contro l’Unità d’Italia» è il titolo di questo piccolo libretto, frutto della raccolta di alcuni saggi e articoli scritti a cavallo tra il 1862 e il 1864, apparsi sulla stampa belga a firma del filosofo francese Proudhon. L’autore famoso ai più per le sue critiche alla proprietà privata (di cui la più nota e abusata delle massime:«la proprietà è un furto»), in questi scritti si scopre un potente alleato di chi, a vario titolo, rimane fortemente critico rispetto all’idea di un’Italia unita, per di più nella sua forma di stato più odiosa, ovvero il centralismo.
DEMOLENDO MAZZINI E GARIBALDI
La summa dell’analisi proudhoniana la ritroviamo tutta qui:
Non esiste una razza italiana. La nazionalità italiana è un’invenzione
Spietata l’analisi dell’azione politica di Mazzini, di cui Proudhon si rivela critico feroce. A lui viene imputata la colpa di aver trascinato i popoli italiani, con l’illusione e il mito dell’unita d’Italia, sotto le grinfie accentratrici dei Savoia, approdo tutt’altro che salvifico per i cittadini che popolavano la penisola. Di averlo fatto con la forza, usurpando la stessa volontà popolare, calpestando il mito repubblicano sventolato da Mazzini.
accuso Mazzini, come uomo di dottrina, di essersi fatto divulgatore di un sistema falso nel suo principio, funesto nelle sue conseguenze: l’unità italiana
Trattamento migliore non è riservato a Garibaldi, seppur riconosciuto nelle sue qualità personali e morali, deprecato nella sua azione, rivelatasi mero strumento delle bramosie piemontesi.
SPRAZZI DI LUCIDA MODERNITÀ
Un libro scritto nella seconda metà dell’ottocento, ma che ritrova spunti che appaiono tutt’altro che polverosi, anzi, qua e là dimostrano una strabiliante attualità, quasi predittiva.
Il primo effetto della centralizzazione non sarà altro che la scomparsa di ogni sorta di carattere indigeno nelle diverse località di un Paese; si crede con questo mezzo di esaltare nella massa la vita politica, invece la si distrugge nelle sue parti costitutive e fin nei suoi elementi.
L’annientamento delle diversità, attraverso il processo centralizzatore, veniva individuato come portatore di effetti distorsivi e nocivi rispetto alla salute della vita politica. Oggi, a distanza di oltre un secolo e mezzo, possiamo ben verificare la lucidità di questa analisi, soffocati come siamo dal degrado politico italiano.
Così come già evidente appariva il rischio, pur ben lontano dal concretizzarsi, dell’esplosione della spesa pubblica e delle inefficienze, a discapito delle libertà dei territori.
Tutto ciò è essenziale all’unità: sono le spese generali dello Stato, spese che aumentano in modo proporzionale alla centralizzazione e in modo inverso alla libertà delle province.
L’ITALIA FEDERALISTA PER PER TEMPERAMENTO E VOCAZIONE
Il filo conduttore dell’opera è l’attacco spietato al centralismo, sia in chiave critica rispetto all’idea di unità dell’Italia, sia per sottolineare la bontà e l’efficacia del sistema federalista per la penisola italica.
l’Italia è federalista per temperamento e per vocazione; che le sue tradizioni, il suo genio, le sue tendenze, sono antiunitarie, e che forzarla a entrare in questo modello significa snaturarle, farla regredire
Il centralismo come elemento regressivo, soprattutto se forzatamente applicato ai popoli e agli Stati che popolavano l’Italia, penisola che non può essere altro che federalista.
L’autore si prodiga con precisione, e incredibile acume, in una attenta analisi delle ragioni per cui l’Italia sarebbe federalista: elencandone i motivi geografici, etnografici, storici, politici ed economici.
Un libro non adatto a coloro che temono di mettere in dubbio la retorica italiana, quella imparata su sgualciti banchi di scuola, oppure di annebbiare i buoni pensieri su Mazzini, Garibaldi e gli eroi risorgimentali. Tutti gli altri, quelli che desiderano nutrirsi di libertà, non potranno che divorare avidamente queste pagine.