di Riccardo Pozzi

Nella primavera del 1948 accadde una cosa piuttosto insolita sulle curve del Po nel basso mantovano. I paesi rivieraschi, affacciati sulle grandi e dense di pioppi golene del fiume, furono oggetto di interesse per l’arruolamento di molte comparse da parte di una produzione cinematografica di un certo prestigio. Il regista Alberto Lattuada mise infatti in scena un lavoro di Riccardo Bacchelli, “Il mulino del Po” e per girare molte scene ebbe bisogno di un cospicuo numero di comparse, soprattutto per la scena della festa sull’aia che Lattuada girò nella ”Rigona”, una splendida corte mantovana tra Bagnolo San Vito e il ponte di San Benedetto Po. Scelta tra il notevole numero di aspiranti c’era anche la piccola Clara, 13 anni magri come un chiodo e una nuvola di capelli neri pieni di vergogna al solo farsi fotografare.

Veniva da un paesino, San Nicolò Po, la cui unica notorietà in provincia era dovuta all’aver dato i natali al grande Learco Guerra, ma era  ormai passato  mezzo secolo. La troupe la prende subito in simpatia e il regista con l’assistente e sceneggiatore, tale Federico Fellini, suggeriscono di fare alla “bambina”, come ormai la chiamano tutti, un po’ di foto con diversi abiti e diversi trucchi di scena.

La 13enne Clara in una pausa sul set de “Il mulino del Po” (1949) di A. Lattuada

La piccola Clara,  in realtà già un metro e settanta, è infatti bellissima e le truccatrici della Lux Produzione sono molto brave nel farla apparire più grande della sua età. Tanto che anche la madre, che ogni mezzogiorno si presenta con un modesto pranzo, stenta a riconoscerla. Il regista la ficca in tutte le scene deve è prevista un po’ di folla ma lei è timidissima. “Dov’è la bambina!?” Grida seccato il maestro, ma Clara è nascosta sul fienile, intimidita da tutte quelle attenzioni e dall’effetto di quella bellezza che i suoi tredici anni non riescono a gestire.

Alla fine delle riprese Alberto Lattuada chiama la bambina e i genitori, offrendo alla giovane la possibilità di trasferirsi a Roma dove la produzione si sarebbe presa cura della sua educazione e del suo eventuale inserimento nel mondo del cinema.

Il padre Cesare, esperto pontiere, si oppone subito a mandare una tredicenne ingenua di campagna in pasto a una realtà che l’avrebbe, probabilmente, mangiata in un solo boccone. Ma quando il regista dice a Clara che, se fosse rimasta, non avrebbe fatto altro che lavorare, sposarsi e fare figli, lei si gira e con piglio deciso gli risponde che non si sposerà mai, provocando una fragorosa risata di tutta la troupe.

La piccola Clara con i suoi tredici anni e la nuvola di riccioli neri   non andò mai a Roma, lavorò tutta la vita come sarta, si sposò ed ebbe due figli, come aveva predetto il regista.

Non seppe mai se se quella opportunità l’avrebbe resa più felice o se sarebbe stata tritata nell’ingranaggio di un mondo non alla portata di chi proveniva da una campagna dimenticata e non istruita.

Ma oggi, dopo settant’anni, cercando in rete è possibile vedere le scene de “Il mulino del Po” girate da Alberto Lattuada nella bassa mantovana e, sapendo dove cercare, si può trovare anche la piccola Clara con i suoi timidi tredici anni in uno dei pochi momenti della sua vita in cui ha avuto una possibilità di scelta.

Guardando quei fotogrammi è facile immedesimarsi in quegli anni, in cui gli echi del conflitto mondiale erano ancora nell’aria e l’odore delle vendette del dopoguerra non era ancora stato disperso dal miracolo economico.  Immaginare la vita di quelle comparse, molte delle quali ho avuto la fortuna di conoscere da adulte, e immaginare anche l’animo di quella tredicenne impaurita, che non voleva sposarsi e scappava sul fienile quando il regista la chiamava. Non serve, invece, molta immaginazione per ricordare il coraggio e la fatica che quella generazione ha dovuto  affrontare per arrivare al nostro oggi.

Per la sua piccola storia che molto racconta di noi e della nostra terra,  ringrazio mia madre Clara.