In un recente articolo del Corriere della Sera, si è trattato del caso di un piccolo negozio di ricambi elettrici, situato proprio nel cuore di Milano, che mantiene oltre alla vecchia insegna anche quella capacità d’altri tempi di relazionare col cliente in modo ancora umano. Attitudine rara, se paragonata alla tirannia dei grandi numeri, caratteristica di baluginanti ipermercati, multicenter e simili. Prendendo spunto dallo stoicismo della titolare Ada Comoretto, “resistente” dinnanzi alla rapida trasformazione urbana e sociale del capoluogo lombardo, possiamo sviluppare alcune considerazioni, senza per questo scivolare nella retorica da “ragazzo della via Gluck”.

12080433_1100841389980026_688444814_nLe architetture cambiano gli uomini, non solo il contrario, tant’è che è stato introdotto un termine apposito – Gentrificazione – per raccontare dello sradicamento popolare nelle metropoli, avvenuto in favore di uno schizofrenico ammodernamento, sovente impersonale e teso ad appagare l’ego apolide delle cosiddette archi-star. Ciò è ben evidente a Londra e a Berlino, ma anche a Milano, la quale per vocazione economica e storica, propende naturalmente per il futuro. Milano non è una bomboniera come Mantova o Bruges, infatti qui l’evoluzione urbanistica ha assecondato la mutazione dapprima tecnico-meccanica, poi tecnologica e globale. Questo è un fatto, non un motivo di recriminazione nostalgica, benché la retromania nel gusto contemporaneo (dall’enogastronomia alla moda) confermi implacabilmente che ad ogni azione corrisponde una reazione.

C’è però un distinguo epocale, difficile da tacere: a differenza di altri codici estetici – pensiamo agli ultimi, quello fascista e quello degli anni del boom economico nel dopoguerra – il criterio progettuale pare non dialogare più con lo spazio circostante, men che meno con la Storia urbanistica ereditata. I nuovi grattacieli, così astratti e titanici, paiono ambasciate di multinazionali, proiezioni distopiche di un futuro tecnocratico, senza più differenze e peculiarità territoriali. Dietro quelle superfici levigate e quei vetri specchiati, chi ci sarà mai? Uffici vuoti, stanze dei bottoni o simulazioni di un operato manageriale più ipotizzato che reale.

Anche dal punto di vista turistico, dopo la curiosità iniziale e fatte salve le concrete manifestazioni di grande portata (Expo), pare difficile mantenere costante attrattività, con l’aggravante di un invecchiamento precoce dello stile “spaziale” adottato, divenuto nel frattempo alieno e d omologante. Basti osservare oggi l’intervento di Potsdamer, a Berlino, sbandierato negli anni ’90 come rivoluzionario e simbolico di una città in continuo movimento. In verità null’altro che una obsoleta manifestazione di fredda tecnica, alla quale sono certo preferibili i palazzi retrò della parte Est, com’è ancora ammirabile nel quartiere di Kreuzberg.

piazza-gae-aulenti-2Anche a Milano, all’ombra del gigantismo acciaioso, resistono al livellamento della modernità le case di ringhiera, le vecchie botteghe, i molti segni di una vita comunitaria di origine antichissima. In alcuni casi, come ad esempio presso le lussuose residenze Litta, gli interventi di riqualificazione hanno prodotto risultati eccellenti, mantenendo intatto il sapore della vecchia città. Poi, certo, Porta Venezia, i Navigli, Brera, gli interni dei meravigliosi palazzi, davvero sorprendenti se raffrontati al neoclassicismo di genere delle facciate. Oppure, volendo uscire dal centro, alla scoperta di Monluè (monte dei lupi), antichissimo borgo rurale monastico, incredibilmente milanese, se messo in relazione a quanto espresso fino a qui.

Perché in fondo, la bellezza tipica lombarda è faccenda discreta (quindi raffinata in quanto non ostentata), ammirabile solo grazie alla volontà di superare quel certo rigore esteriore, quella sobrietà che è caratteristica atavica e biglietto da visita. In questo le città somigliano ai loro abitanti. Per questo la signora Ada, con la sua bottega per la piccola manutenzione elettrica domestica, circondata com’è dall’effimera modernità di insegne di continuo cangianti in base ai trend, rappresenta un valore sociale prezioso, che oltrepassa il mero dato economico contingente.