di Angelo Luppo

Al tramonto del suo dominio sul ducato milanese, Filippo Maria Visconti cominciò ad attorniarsi di un gran numero di capitani di ventura e di truppe mercenarie, timoroso ogni giorno sempre di più di poter perdere il potere da un momento all’altro (e non solo a causa delle pressioni dei nemici esterni): tra i tanti uomini d’arme che cominciarono così a frequentare la sua corte ricca di intrighi, il più ardito e temuto si dimostrò il condottiero romagnolo Francesco Attendolo, soprannominato “lo Sforza”.

Figlio di uno dei migliori capiscuola di tecnica di guerra d’Europa (Muzio Attendolo, il primo della famiglia a ricevere la nomea di “Sforza”), Francesco era riuscito in pochi anni a superare la fama del genitore, tanto che sia i sostenitori che i nemici lo consideravano (nonostante la giovane età) “il padre comune di tutti gli uomini d’arme”. A differenza di Muzio però, Francesco aveva ambizioni ben più alte: infatti, non era sua intenzione passare la vita a fare il soldato al servizio di sovrani o governatori ma di diventare lui stesso fondatore (nonostante l’origine plebea) di uno potente dinastia regnante.

L’occasione per realizzare questo suo ambizioso progetto si presentò proprio con la chiamata al servizio di Filippo Maria, il quale (pur tra gli alti e i bassi dovuti ad una profonda differenza di caratteri e di vedute) alla fine decise di legare a se il rinomato comandante di ventura concedendogli in moglie la figlia Bianca Maria: essendo privo di figli maschi, l’ultimo appartenente alla schiatta viscontea eleggeva in questo modo lo Sforza come suo erede al trono ducale. Quando però Filippo Maria morì nel 1447, le ambizioni del condottiero romagnolo dovettero scontrarsi con la volontà dei milanesi di ripristinare le loro antiche libertà comunali: stanchi infatti del dispotico dominio ducale subito negli ultimi anni, i più insorsero in tutto il territorio allora controllato dalla città meneghina, proclamando decaduto il ducato e fondata l’Aurea Repubblica Ambrosiana, posta (non a caso) sotto la protezione di sant’Ambrogio.

Ma appena la neonata repubblica si trovò in difficoltà, fu proprio lo Sforza (costretto alla fuga e passato nel frattempo al servizio delle schiere di Firenze e di Venezia) a intervenire: ristabilito non senza difficoltà lo statuto ducale (e ricevutane l’investitura ufficiale a signore nel 1450), Francesco cercò di ripagare i Milanesi della perdita delle rinate istituzioni comunali e si dimostrò un principe saggio e di grande animo, molto diverso da chi l’aveva preceduto. Tra le tante opere strutturali messe in atto durante il suo regno, vi furono il proseguimento dei lavori al Duomo e alla Certosa di Pavia, la costruzione della Cà Grande e di uno dei simboli della Milano odierna: il Castello Sforzesco (costruito sulle rovine della rocca viscontea, distrutto dai milanesi nei giorni di fuoco della restaurazione repubblicana).