Si intitola semplicemente “Bar”, il libro d’esordio dello scrittore mantovano Donato Novellini (foto), pubblicato il 4 ottobre dalla raffinata casa editrice Giometti & Antonello – Macerata.
Un titolo secco, di sole tre lettere, ma che accostate tra loro formano una delle sigle più popolari della vita sociale italiana. Anzi, una vera e propria peculiarità padana. In copertina c’è un bel disegno del pittore Scipione, che rende bene l’
Osterie di città, di provincia, di paese, di frazione; piano-bar, bar di stazione di servizio o di treni, bar di vecchi dispersi nella pianura, tra nebbie e argini, strade sterrate e tangenziali. Bar carichi di storia e di prestigio, oppure precari, periferici, simili ad abusi edilizi. Tutti narrati in prima persona da un solitario osservatore, i capitoli ci restituiscono il sapore agrodolce del tempo passato a bighellonare tra aperitivi e cameriere più o meno compiacenti. C’è il rito conviviale del “bianchino”, ci sono i caratteristi da osteria, gli ospiti fissi e i clienti di passaggio, luoghi e personaggi descritti con grande attenzione ai particolari. La scrittura è ricca, a momenti funambolica, formalmen
Libro anomalo, dallo spiccato stile personale, refrattario alla catalogazione, come ben illustrato dalla nota del curatore: “I bar che ritroviamo in questo libro, tema e scenario delle vicende o delle visioni che si dipanano in tutti gli episodi che lo compongono, non hanno nulla a che vedere con le oleografie che hanno tempestato la letteratura ma anche la filmografia di massa degli ultimi decenni sull’argomento. Se il mondo che li circonda, minuziosamente descritto da una prosa dal ritmo incalzante ed ipnotico, evoca spesso paesaggi post-atomici o ambienti ovattati e subacquei, questi bar si configurano come stazioni metà relitto e metà rifugio – il più delle volte dominio di creature femminili variopinte, multiformi, ritrose e anche rapaci, sorta di hapax antropologici generati da contesti irripetibili e che immancabilmente alterano la visuale più delle bevande che esse stesse somministrano. Tutto meno che ammiccare ai ritrovi nostalgici del quartiere o del paesello, alle allegre comitive di habitué con la relativa proliferazione di maschere e caratteristi da osteria. Quello del narratore è qui uno sguardo ostinato e feroce davanti al quale i paesaggi animati e inanimati, le situazioni, le comitive, la varietà degli avventori non trovano tregua. Sguardo di passante che, spietatamente, si fa tutt’uno con ciò che vede e cerca, quasi sempre invano, una redenzione nella scia sempre più sbiadita di una tradizione irrestaurabile”.
Alla fine della lettura resta la sensazione di avere avuto tra le mani un libro strano, bizzarro e reazionario, sia nella forma che nei contenuti. Anche nei momenti più buffi, permane un’atmosfera vagamente malinconica, come se l’autore avesse colto nei bar gli aspetti meno visibili, quelli da retrobottega. Non un volume di recensioni dunque, nemmeno qualcosa che possa trovare facili paragoni, se non in certi scrittori provenienti,
Donato Novellini, classe 1973, di San Martino dall’Argine, collaboratore della Voce di Mantova e di Alta Fedeltà, ha all’attivo varie esposizioni artistiche;contemporaneamente, da alcuni anni, cura le rubriche di critica artistica e letteraria sulle riviste I Fiori del Male e Barbadillo.it.
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