Poche macchine in giro al mattino presto in zona Cadorna, i milanesi come d’abitudine ne approfittano per fare sport a Parco Sempione o per darsi alla cultura, approfittando anche dell’ultimo giorno del Design Week; l’atmosfera rilassata e la temperatura gradevole inducono le famiglie al passeggio ed anche per un provinciale come il sottoscritto, abituato ai ritmi lenti della campagna mantovana, l’occasione è propizia per guardarsi attorno con maggiore curiosità. Gli stereotipi milanesi, al solito imperniati sul binomio grigiore-frenesia, resteranno in sospeso probabilmente fino a Lunedì, perciò tornare a Palazzo dell’Arte in una splendida Domenica primaverile, è il giusto pretesto per farsi un’idea sulle reali evoluzioni di Expo 2015, per lo meno dal punto di vista artistico culturale.
Un’esperienza che assume valore aggiunto se all’interno del monumentale edificio è custodita l’imponente esposizione Arts & Food – Rituali dal 1851, curata da Germano Celant ed allestita con mirabile perizia dallo Studio Italo Rota.
Già prima d’entrare, nel parco retrostante, l’eclettismo dei propositi s’accentua con uno stridente accostamento: il gigantismo “Pop”di un ketchup gonfiabile (di Paul McCarthy) minaccia, senza averne tuttavia i poteri, l’affascinante metafisica dei Bagni Misteriosi dechirichiani, facendo con ciò sunto parziale di quello che attende dentro.
Ora, già la sede espositiva – archi bianchi e mattoni rossi per un razionalismo “umanista” che ambiva a divenire nuovo rinascimento – meriterebbe trattazione a sé: concepita nel 1933 da una stretta collaborazione fra l’artista Sironi e l’architetto Muzio per ospitare le triennali d’arte, s’inserisce perfettamente nel contesto urbano tra Castello Sforzesco ed Arco della Pace. Va ricordato a margine che al progetto parteciparono con la produzione di mosaici, rilievi e affreschi altri importanti artisti quali C. Carrà, G. de Chirico, A. Funi, M. Campigli, G. Severini, M. Marini e A. Martini, in sostanza il meglio dell’epoca. All’interno il percorso filologico di Arts & Food parte dal 1851, anno della prima esposizione internazionale di Londra, per poi muovere gradualmente attraverso passaggi storici e stilistici verso la contemporaneità.
Nel mezzo di tutto: pittura, scultura, installazione, fotografia, video-art, in un crescendo multidisciplinare in grado di coinvolgere credibilmente il visitatore, sapientemente guidato dalla contestualizzazione temporale delle opere nello spazio e dal filo conduttore tematico “alimentare” che, in modo subliminale o palese, permette una fruibilità potenzialmente vasta e molteplici chiavi di lettura.
Accanto ai grandi nomi dell’arte collocati qui con pertinenza – Monet, Picasso, Morandi, Warhol, Rotella, Abramovic, Merz, Sherman, per citarne solo alcuni – risulta interessante l’approfondimento antropologico e semiotico, ovvero la testimonianza estetica e talvolta pure etica, del passaggio scandito del tempo. Ecco quindi che la visione delle opere diventa, al di là del puro piacere visivo, sistema multisensoriale, occasione per intraprendere un viaggio mediatico assai documentato, colmo di ricordi per i più anziani e di suggestioni futuribili per le nuove generazioni.
Un itinerario che dall’industrializzazione di fine ‘800 passa alle guerre, dai totalitarismi porta al boom economico, per terminare nelle tensioni iconoclaste contemporanee. Grazie anche alla ricostruzione degli ambienti ed alla riproposizione dell’oggettistica, del design e dell’architettura coeve, l’apparato scenografico diventa elemento protagonista in grado di rendere ancora più incisivi termini quali Liberty, Decò, Impressionismo, Espressionismo, Cubismo, Divisionismo, Futurismo, Costruttivismo, Suprematismo, Arte Povera, Pop Art, Nouveau Réalisme, Transavanguardia, Post-modernismo, etc.