di Riccardo Pozzi

Molte think tank di eletti studiosi economici e finanziari, si sono accorte che nel globo terracqueo la distribuzione dei redditi è sempre più sbilanciata e iniqua.

Fa cosi’ tenerezza vedere gli scienziati del denaro, dopo tante analisi che sembravano sofisticate e articolate, arrivare allo stesso punto  del vecchio proverbio dialettale che gli anziani ti dicevano da bambino: La panza piena non pensa per quella vuota. Eppure il concetto era semplice, antropologicamente selezionato per prevalere.

Sia lo spregiudicato e cinico capitalismo americano, sia il corrotto e dittatoriale comunismo cinese, alla fine producono la stessa cosa. Pochi miliardari e distese a perdita d’occhio di poveracci, o nel migliore dei casi di

lavoratori forzati  di un sistema che non attiva scale sociali  se non come illusorie carote, destinate ad alimentare l’indispensabile speranza del povero.

Naturalmente con sempre meno diritti e sempre meno potere d’acquisto.

Cosicché la vera differenza, anche in Italia,  tra i lavoratori del dopoguerra e quelli di oggi, nonostante un paradossale abisso nella crescita della  produttività,  è proprio nel corrispondente reddito. Mentre un operaio di oggi, se  è così fortunato ad aver la moglie al lavoro, può sperare al massimo di pagare le bollette, vestirsi, cambiare l’utilitaria a rate e sperare di non avere grossi danni odontoiatrici, l’operaio di quarant’anni fa riusciva da solo a mantenere tutta la famiglia ;  ma se la moglie lavorava,  accantonava risorse per costruirsi casa o comprarsi l’appartamento, e di solito ci scappava anche la villeggiatura nel posto di gran voga.

Il padroncino aveva la mercedes ma il suo operaio non era poi così tanto distante, la ricchezza era redistribuita in modo pulviscolare nel territorio e tutte le classi ne beneficiavano, mischiandosi e contaminandosi con un certa frequenza. E questo sì, dava l’impressione che l’ascensore sociale si muovesse almeno un po’.

In sostanza uno dei pochi esempi di capitalismo diffuso e a misura d’uomo che abbia condiviso la ricchezza e la possibilità di migliorare nella scala sociale, è stato quello  della Pianura Padana che  in tre decenni ha creato una classe media capace di permettersi il figlio medico o la figlia avvocato, ma anche maestranze con salari decenti, che hanno consentito mutui  sulla casa e nuove attività nate dalle vecchie, spesso intraprese proprio da ex lavoratori dipendenti.

Curiosamente , però, la sinistra di questo paese ha sempre guardato con culturale disprezzo la classe media produttiva del nord, ha sempre ironizzato (e lo fa ancora), sul popolo dei capannoni come se la valle del Po mostrasse in quella fetta di popolazione la sua massima espressione di ignoranza e beceraggine.

Ma perché questo astio politico? Essenzialmente per tre motivi.

Il primo è l’estraneità politica.  Nella piccola e piccolissima impresa non si è mai nascosto un giacimento elettorale della sinistra, con esclusione di alcuni cantoni emiliani.

Il secondo è la vendetta sociale.  I meno giovani ricorderanno  che tra i primi provvedimenti del ministro Bersani si distinse una tassazione retroattiva su chi aveva, negli anni precedenti, usato le leggi Tremonti che fornivano un ammortamento agevolato a chi investiva, incentivi che oggi impallidiscono al cospetto dei super e iperammortamenti di industry 4.0 .

Il terzo, e più grave,  è l’estraneità culturale. A sinistra, da Guido Fanti in poi (presidente comunista della regione Emilia Romagna), si è sempre saputo che l’esperimento padano era un unicum economico da preservare e proteggere ma le spinte interne ottusamente sindacalizzate, tendevano ad individuare come nemico il piccolo imprenditore, il commerciante, l’artigiano, e non il grosso e influente industriale, che spesso faceva comodo per mostrare i muscoli nelle trattative contrattuali  e rendeva più semplici le coesioni rivendicative contro “il padronato”.

Si sacrificò dunque l’ecosistema dei distretti industriali sull’altare  della mondializzazione forzata, salvando solo i grandi operatori, spesso partner politici strategici, e lasciando la piccola impresa al suo destino.

Dimenticata da una destra in realtà non liberista e affezionata a un capitalismo anglosassone, oligarchico e gigantista; e da una sinistra che non ne ha mai voluto ascoltare l’allarmato lamento, etichettando il mondo delle piccole partite iva come un obsoleto universo di evasione prossimo all’estinzione.

Nella realtà della globalizzazione, i piccoli operatori sono rimasti qui a impoverire e a chiudere, mentre i grandi industriali, con loro significativa influenza,  sono fuggiti dall’altra parte del  mondo, espellendo occupati in casa per scovare disperazione a buon mercato, e in alcuni casi contrattando in patria migliori trattamenti fiscali, forti di ulteriori ricatti occupazionali.

In quanto a contenitori di pensiero, think tank, la pianura padana si  è lasciata cogliere di sorpresa. Non ha saputo esprimere classi dirigenti all’altezza delle sfide economiche che la attendevano.

Ma le conseguenze del suo abbandono e degli errori politici riguardo al suo destino non si sono ancora rese del tutto evidenti.

Chi avrà  la fortuna di invecchiare senza dimenticare, potrà assistere a divertenti e inaspettati cambi di casacca che forse non serviranno a risorgere  ma ci daranno l’esatta sensazione su chi ci siamo fidati per tanti anni.