Scrivere del Campari, inteso ovviamente come bevanda alcolica, potrebbe assumere connotati diseducativi, soprattutto a fronte del bon ton velatamente ipocrita che alligna sui media e ai turbamenti facili degli amici salutisti.
La convinzione che si possa trattare l’argomento da un punto di vista culturale ed estetico però, ci porterà a considerare l’aperitivo rosso senza infastidire troppo l’integerrima categoria degli astemi. La blasonata casa del bitter, originaria del novarese e poi trasferita con crescente successo internazionale in Piazza Duomo, a Milano nel 1862 – tuttora attivo il bar omonimo adiacente alla Galleria Vittorio Emanuele II – intreccia infatti le proprie vicende a quelle del costume, dell’arte e dell’evoluzione socio-economica del capoluogo lombardo.
Prima di affrontare l’aspetto iconico, la veste minimale dell’infuso segreto, sarà il caso di ricordare alcune priorità tecniche, strettamente legate alle preferenze dello scrivente: non si dà Negroni cocktail senza Campari; mentre per gli altri due ingredienti dell’impegnativo aperitivo d’origine fiorentina, le scelte sono variabili in base alla qualità e ai gusti dei vari vermouth e gin, il Campari resta l’architrave rubea insostituibile della dionisiaca miscela. Già questo ne fa un nettare prezioso, pur nella popolarità del rapporto qualità/prezzo, assolutamente accessibile rispetto ad altri liquidi.
Oltre a ciò sarà utile ricordare ulteriori miscelazioni che vedono il Campari protagonista: Americano, Negroni Sbagliato, Campari Orange e soprattutto il Pirlo, variante popolare, tutta lombarda – segnatamente bresciana – dello Spritz (quest’ultimo d’origine veneta, in quanto sorretto dall’Aperol bassanese).
Il Pirlo, nelle sue varie connotazioni, può essere schiettamente tradotto in formule gergali, soprattutto nei bar di provincia, negli orari di fine lavoro: “un bianco macchiato (di rosso Campari, ovviamente), un Campari in due, con o senza ghiaccio, con o senza agrume, con o senza seltz, con vino fermo o mosso”, più tutta una serie di improbabili quanto misteriose varianti dell’aperitivo cosiddetto della casa. Sulle quali sarà meglio non indagare.
Per comprendere il grande successo del Campari, occorre tornare indietro nel tempo, considerando tre periodi chiave: l’epopea liberty, a cavallo tra romanticismo crepuscolare e conseguenze tecniche della rivoluzione industriale; i primi del ‘900 con il restyling futurista, che tagliava i ponti con la tradizione decorativa, rivoluzionandola; infine gli anni ’80, con la stagione spensierata della Milano da bere.
In questa sede ci concentreremo principalmente sul periodo futurista, soprattutto per sottolineare il legame creativo instauratosi tra l’azienda produttrice ed il grande artista roveretano Fortunato Depero. Quest’ultimo, geniale artigiano modernista – costruttore di giocattoli, ideatore di un originalissimo stile sintetico “squadrato”, pioniere della comunicazione pubblicitaria – oltre a dotare Campari di un’estetica forte e al passo con i tempi, disegnò pure la famosa bottiglietta di vetro monodose della soda, ovvero il primo mix pronto all’uso messo in commercio con criteri industriali. Il codice stilistico di Depero, sempre ironico e piacevolmente attuale, bene si armonizzava con le necessità reclamistiche dell’epoca, fortemente tese alla sperimentazione comunicativa.
A conforto di ciò sarà utile tornare ad una interessante pubblicazione della casa editrice Corraini, titolata Camparisoda – L’aperitivo dell’arte veloce futurista, da Fortunato Depero a Matteo Ragni (Autori vari, con contributi di Mendini, Finessi e Guarnaccia) uscito alcuni anni fa in una curiosa ed elegantissima versione libro-oggetto, con custodia cartonata scorrevole verso l’alto, funzionale all’allungamento della cannuccia infilata nella bottiglietta illustrata.
Il volume passa in rassegna il rapporto tra il brand milanese e le varie discipline creative – dall’arte alla grafica, dall’architettura al design – attraverso tutti i mutamenti stilistici degli ultimi 80 anni. Impreziosito dalle illustrazioni di Steven Guarnaccia, affermato collaboratore del MoMA e responsabile del Dipartimento di Illustrazione alla Parsons The New School for Design di New York, l’omaggio al Campari diventa quindi occasione per approfondire un’estetica che guarda al futuro. Accanto alla ritualità popolare dell’aperitivo – tipicamente lombardo-veneta – possono quindi stare senza incongruenza queste parole del grande Alessandro Mendini: “Bere un Camparisoda era ed è tuttora una performance artistica. Invenzione dinamica ed energetica per eccellenza, brillante ispirazione per mente e corpo, il Camparisoda fin dall’inizio si è presentato come aperitivo dell’arte veloce futurista”.