
Amo le terre di confine. Le terre di mezzo. Luoghi dove usi e consuetudini si mescolano a parlate bastarde e secoli di contrapposizioni sociali e culturali. Luoghi profondi dove ad omologati e globalizzati avventori casuali tutto può sembrare fuori dalle regole.
Può capitare infatti che (difficilmente in modo del tutto casuale, di li non si passa per caso) un turista norvegese o un antropologo cileno passino dal Brallo di Pregola e possano restare meno affascinati di quanto non sia capitato a me.
Brallo di Pregola è un incredibile comune di 600 abitanti (Eta’ media dei residenti 76 anni) in provincia di Pavia. A due passi dalla Liguria e con un pezzo di Emilia al proprio interno. Si trova nel punto più meridionale della Lombardia in Oltrepo Pavese con la cima più alta,del territorio il monte Lesima a oltre 1700 metri d’altezza. Nel tratto iniziale della Valle Staffora. In questo luogo ai confini con la civiltà urbanizzata vive un parroco del quale voglio parlare anche se so che non apprezzerà la cosa. Così come immagino in molti di coloro che mi conoscono troveranno quantomeno bizzarro il fatto che uno dei più impenitenti agnostici in circolazione voglia parlare di un parroco: un grande parroco lombardo, Don Massimiliano, parroco di Colleri a 4 km dal Brallo, il parroco contadino!
L’ho conosciuto casualmente anni fa in occasione di un convegno sulla razza Varzese, razza bovina appenninica lombarda a rischio di estinzione che con un programma regionale specifico abbiamo salvato e rilanciato. Mi ha colpito subito per il suo stile fuori dal tempo. Veste con tonaca tradizionale lunga, fatto ormai alquanto inconsueto per un prete di soli 42 anni (in quel mondo sicuramente un giovane).
Lodigiano di nascita e di vocazione allevatoriale, figlio di allevatori di vacche da latte è finito in una Diocesi piemontese (si, perché il Brallo, come buona parte dell’Appennino, oltre padano si trova nella diocesi di Tortona). Uomo di pianura in montagna: nemesi storica e personale. Mi ha colpito soprattutto per l’entusiasmo e l’amore che trasmette per gli animali. Un amore pragmatico, da allevatore, non da animalista in senso estremo.
Mi ha spiegato subito e col suo fare diretto per quale motivo si possano amare gli animali e cibarsene con naturalezza e senza contraddizioni. Mi sono ripromesso di approfondire con lui e qualche settimana dopo, approfittando di alcuni impegni istituzionali non lontano da lì, sono andato a trovarlo.
Un viaggio nel tempo! Sono arrivato sul piazzale della chiesa in un giorno insolitamente caldo d’estate e subito ho cercato la canonica che sta a ridosso della chiesetta. Chiedere informazioni a qualcuno non serve perché trovare in giro qualcuno in orario di pranzo a quelle latitudini risulta quantomeno complicato.
Don Massimiliano mi ha ricevuto nella sua umile canonica con grande ospitalità. Molto sbrigativo nei modi ci ha fatto accomodare insieme a qualche amico del territorio appositamente invitato all’evento e ha esordito dicendo: “E’ la prima volta che viene un politico nazionale a casa mia e il destino mi ha punito: stamattina hanno ricoverato la mia perpetua in ospedale. Niente di grave alla sua età (sopra la media locale). Sto facendo una frittata (esperimento non riuscitissimo, nessuno gli ha mai detto prima che le uova e il formaggio vanno sbattute prima di essere rosolate in padella) e intanto vado a prendere il salame!“.
Mi si è aperto il cuore. Dopo qualche istante si presenta nella sala da pranzo con un salame di una dimensione inusuale, lungo almeno 80 cm e con fare soddisfatto annuncia: “Ecco a voi la riserva personale. Un salame di due anni stagionato nella cantina della casa parrocchiale e prodotto con le carni del maiale che ho allevato personalmente.“
Si perché l’uomo alleva ogni tipo di animale domestico: vacche, maiali, polli, conigli e cavalli. Lo fa personalmente, mungendo, raccogliendo il fieno, lavorando giornate intere sul trattore intervallate solo da riti liturgici. A tavola è iniziata una chiacchierata che ha rianimato in me una parte spirituale che non ho mai pensato di possedere in realtà.
Abbiamo parlato per quasi due ore del creato, del mondo globalizzato e del valore di una piccola e apparentemente marginale realtà come quella in cui si trova a vivere e ad esercitare il proprio mandato. Del rapporto tra l’uomo e l’animale nella zootecnia contemporanea con tutte le proprie contraddizioni. Mi ha aperto gli occhi su un mondo che pensavo di conoscere ma che non avevo mai guardato con quegli occhi. Mi ha raccontato di una vita incredibile (la sua) e della propria vocazione che in quel luogo aveva trovato una sintesi assoluta. Lo ha fatto in modo pratico e da uomo concreto di campagna che non si lascia condizionare dal troppo romanticismo.
Eppure era una situazione straordinariamente romantica. Il suo essere eccentrico, legato nei modi e nei luoghi al passato fanno di lui un personaggio molto contemporaneo. I piccoli gesti di una vita diversa da quella della maggioranza omologata ne fanno un campione. Mi ha raccontato di essersi addormentato la sera precedente al fresco della notte appenninica sulla sua ottomana di velluto e di essere stato svegliato a notte fonda dal suo gatto. Un gatto speciale quasi ammaestrato che come nelle favole compie gesti umani: all’occorrenza lo sveglia e apre e chiude la finestra sopra il divano spostando le tende. Piccoli esempi che servono a dare un quadro marginale di una serie di situazioni che mi hanno colpito profondamente. Alla fine del nostro pranzo mi ha chiesto di seguirlo a bordo della sua vespa 50 rigidamente d’Antan e mi ha portato a vedere la sua stalla. Li l’ho visto commosso mostrarmi un micro modello aziendale che farebbe inorridire i puristi delle efficientissime aziende lombarde. Efficientissime ma, a suo dire, senza anima.
Una miscela incredibile di razze bovine, composta da animali raccattati qua e là, principalmente da aziende che in questi anni hanno deciso di smettere e spesso hanno abbandonato la montagna. Una specie di Museo più che di allevamento.
Un museo vivo che a suo modo produce senza speculazione. Che serve a mantenere una testimonianza del ciclo zootecnico che per secoli ha regolato e garantito la sopravvivenza di molte vallate appenniniche e alpine. Senza intenti pedagogici e senza approcci snob. Solo per passione. La passione per la sua terra. Una terra in cui è arrivato per caso qualche anno fa e che non vorrebbe abbandonare, anche se purtroppo la crisi di vocazioni che ha colpito le diocesi in questi anni lo costringerà prima o poi a rispondere diligentemente alla chiamata del Vescovo che lo vorrebbe a guidare qualche parrocchia più importante.
Certo sarà dura lasciare le sue bestie li. Senza Di lui non penso resterebbero a lungo. Sarebbe un peccato distruggere un sogno.
Don Massimiliano. presto tornerò a trovarti. Chissà che mi contagi ancora un po’ con la tua fede e il tuo entusiasmo. Mi farebbe bene.
Ne sono certo, come sono certo che quelli come te sono pochi ma sono l’essenza della Lombardia.
Anche e soprattutto nelle terre di mezzo.